Lunedì 7 giugno, presso il Salone d’onore della Cassa di risparmio di Fossano, si è tenuta una breve cerimonia di premiazione del concorso “Inventa il risparmio”, ideato dall’allora presidente Beppe Ghisolfi e giunto all’undicesima edizione.
Il concorso coinvolge gli studenti di terza media degli istituti comprensivi di Fossano Paglieri e Sacco (comprese le sezioni di Cervere e Genola) nella presentazione di disegni o testi sul tema del risparmio.
I lavori sono stati giudicati dalla commissione composta dalle insegnanti di Arte Porasso e Garavagno, dagli insegnanti di Lettere Borio e Panero e dal rag. Mandarino, vice direttore della Cassa di risparmio di Fossano spa.
Le opere migliori, valutate in base a cura e originalità nello sviluppo del tema, ricevono un buono per l’acquisto di materiale didattico.
I vincitori sono i seguenti: per la sezione Michelangelo (disegni) 1ª classificata Annalisa Sacchi - 3ª A Sacco; 2ª classificata Greta Wachtel - 3ª D Paglieri; 3ª classificata Chiara Asteggiano - 3ª D Paglieri.

Per la sezione Manzoni (testi) 1ª classificata Sofia Caldo - 3ªE Sacco; 2ª classificata Ramon Chiaramello - 3ªC Paglieri; 3ª classificata Marta Li Pira - 3ªB Sacco.
Il presidente si congratula con gli studenti per gli ottimi lavori presentati: “Mi complimento con i ragazzi per aver presentato dei lavori molto curati, nonostante il difficile anno trascorso a causa della pandemia. Ringrazio vivamente la dirigente Balatresi per la consolidata collaborazione tra la Cassa e le scuole ed i professori che accolgono questa proposta con interesse e partecipazione. Ai vincitori ed ai loro compagni di classe in bocca al lupo per gli imminenti esami di fine anno”.
Ic Sacco - Scuola Secondaria I grado - Fossano
Fondazione Crf
Concorso Inventa il risparmio - Sezione Manzoni
Avventura
Il Monte Zecchino è il più alto del Regno di Re Mida e la leggenda narra che lassù, sulla cima, sia nascosto un grande tesoro. Nessuno nel regno è mai riuscito a raggiungerlo, poiché la scalata è molto pericolosa e piena di ostacoli.
Un giorno, però, il giovane apprendista del mugnaio decide di compiere la grande impresa. Quali avventure affronterà lungo il cammino? Ce la farà? Ma, soprattutto, il tesoro esisterà per davvero?
Umile farina
“Udite, udite!”.
Il ciambellano si affacciò dal balcone del palazzo reale, senza nessuna pergamena nella mano: “Stanotte re Mida è morto! La disperazione per il castigo con cui doveva convivere lo ha ucciso”.
Ci fu un immediato silenzio tra il popolo, seguito da un grande scalpore; chi piangeva il re, chi discuteva le cause della sua morte: qualcuno ipotizzava un suicidio, altri una punizione del dio Dioniso... Chi, a testa china, pronunciava una preghiera per il re. Soltanto la moglie del mugnaio era occupata a tenere tra le braccia il suo nipotino e a sussurrargli: “Oh, bambino! Sei tanto giovane, sei un dono delle stelle portato appena tre anni fa; non conosci la storia del nostro re, ma non temere, la nonna te la racconterà.”. Si schiarì la voce e proseguì: “Re Mida era un re buono, ma aveva un terribile difetto, l’avidità. Questo male lo divorava e lo portò a desiderare di essere l’uomo più ricco al mondo. Così si recò dal dio Dioniso e lo implorò di ricevere enormi ricchezze. Il dio acconsentì e fece in modo che il suo tocco tramutasse in oro ogni cosa. Il re, inizialmente euforico, impiegò poche ore a rendersi conto di essere stato colpito da una disgrazia. Ogni cibo che sfiorasse diventava immangiabile ed il vino che toccava con le labbra si pietrificava in oro in meno d’un secondo.
Nipotino mio, tu sii generoso e apprezza ogni piccola cosa della vita. La nostra famiglia non è ricca, ma risparmiando possiamo vivere bene. Non avere mai paura della nostra povertà, bambino, non è necessario l’oro quando abbiamo le cose più importanti: amore, solidarietà, e un po’ di farina con cui creiamo il nostro pane.”
Il piccolo chiuse gli occhi tra le braccia della nonna, quando il ciambellano fece un altro annuncio: “Re Mida, prima di spegnersi, ha ordinato di svelare al popolo il luogo in cui Dioniso gli ha donato ricchezza eterna, e dove si trova il più grande tesoro al mondo. Questo luogo è la cima del monte Zecchino. Soltanto il giovane più coraggioso potrà accedervi, ma dovrà portare con sé ogni suo bene ed essere pronto a sacrificarlo; solo così potrà ricevere il dono più grande.”.
Il popolo applaudì, la voce si sparse e, tre giorni dopo, sette giovani erano pronti alla partenza.
I primi sei erano figli di nobili, ricchi proprietari di negozi, medici, professori... Soltanto l’ultimo ragazzo, il garzone dell’umile mugnaio, non possedeva alcun oggetto in oro o monete.
A salutare i sette eroi e ad ammirare l’equipaggiamento di ognuno si radunò tutto il paese. Ogni ragazzo mostrava con fierezza i propri averi, mentre il garzone se ne stava in disparte, stringendo tra le mani un sacco di farina. Quando gli veniva chiesto cosa portasse con sé, la sua risposta era: “L’unica cosa che posso sacrificare è questo sacco di farina” e il popolo rideva a crepapelle del povero giovane.
“Figlio mio, - gli disse il mugnaio - spero tu mi permetta di chiamarti in questo modo. Sono ormai cinque anni che vivi nella nostra casa e ti nutri del nostro cibo; ti voglio ringraziare per ogni gesto che hai compiuto per noi, inclusa l’impresa che stai per compiere oggi.”
“Padre, se è dunque il modo in cui da oggi ti posso chiamare; - rispose il giovane abbracciando il mugnaio - essere qui è un dovere per me, e sono fiero di partire per aiutare chi da cinque anni è per me una famiglia. Non temete che venga deriso, perché io solo conosco il valore di quest’umile farina.”.
I ragazzi partirono così per il loro viaggio, ognuno con i propri averi.
Il primo giorno il figlio del mugnaio iniziò a conversare con il figlio del nobile, il più ricco di tutti.
“Dunque, cosa sacrificherai oltre a quel sacco?” domandò il nobile.
“Da offrire in sacrificio ho solo questa farina.”
“Oh, giusto, sei il garzone del mugnaio. Guarda il lato positivo, a riempire il sacco c’è qualcosa oltre che l’aria” rispose, facendo ridere tutta l’orda di giovani. Il garzone non osò replicare, e continuò a camminare lungo il sentiero ignorando i commenti dei suoi compagni.
Durante il cammino, un altro ragazzo, il figlio del notaio, non faceva altro che lamentarsi dell’enorme carico che doveva portarsi dietro: “La mia schiena non resiste più! Temo che la mia ricchezza sia davvero troppa!”
“Perché non lasci cadere qualche moneta dal baule? Sarà un carico più leggero.” “Oh, certo! Così tu e gli altri potrete prendere i miei beni! Non ci penso nemmeno a lasciar cadere nessuna delle mie monete. Le sacrificherò tutte quando saremo davanti al tesoro, così il guardiano si renderà conto che sono il più ricco e mi farà vincere quella somma, tornando a casa più ricco di Re Mida!”.
“Re Mida morì soffocato dai suoi beni, esser ricco come lui porterà solo problemi” lo interruppe il garzone.
“Sciocco d’un mugnaio, il Re morì a causa della sua malattia, dell’incantesimo che fu lanciato su di lui, del suo tocco d’oro. Non certo per le sue ricchezze. E poi, se non t’interessa l’oro, per quale motivo stai camminando con noi? Speri forse di ricevere altra farina?” lo prese in giro, e tutti gli altri ragazzi risero di lui.
“Veramente, voglio solo del denaro per aiutare la mia famiglia” replicò il ragazzo, e osservò il suo compagno che, mentre era pronto a ribattere con un’altra battuta di cattivo gusto, si prese una storta e cadde a terra insieme al suo baule.
“Il mio piede! Il mio piede!” gridò e imprecò.
“Scusa, ma non possiamo aiutarti” rispose un altro “Dobbiamo raggiungere la cima del monte e tu evidentemente non puoi più camminare”.
I ragazzi lasciarono il giovane indietro. Al garzone dispiaceva aver abbandonato il compagno, ma quella volta non poteva permettersi di aiutare un suo avversario.
La sera arrivarono ai piedi del monte dove trovarono un labirinto con sette vie; lì si divisero. Ad ogni entrata sostava una guardia incappucciata, predisposta ad accompagnare i viaggiatori che tentavano d’arrivare in cima al monte.
Il primo ostacolo, uguale per tutti, fu un muro di massi alto almeno dieci metri.
“E adesso cosa facciamo?” domandò il primo.
“Posso spostare io il muro per voi, ma avrò bisogno d’una paga” rispose prontamente la guardia, e il giovane accettò, non vedendo altre vie possibili. Lo stesso fecero gli altri tranne il garzone, che, senza chiedere aiuto alla guardia, si rimboccò le maniche e spostò i massi uno per uno.
Si fece notte e tutti i giovani sostarono, dopo aver pagato la loro guardia per costruire un’amaca su cui riposare. Soltanto il garzone dormì senza riparo.
Il figlio del conte, il meno abituato a dormire all’aperto, disse alla guardia di costruirgli un riparo in pietra e un letto di paglia, gli ordinò di preparargli una cena andando a caccia di animali e attizzando un fuoco su cui cuocerli. La guardia eseguì tutti gli ordini in poco tempo, ma al giovane conte non venne in mente che la guardia avrebbe chiesto una paga per svolgere il suo lavoro, e, quando il momento avvenne, il ragazzo rimase con pochissimi ori tra le mani. Ricordò gli averi dei suoi compagni e pensò che sicuramente loro non avevano speso tutto ciò che, scioccamente, aveva scialacquato lui.
La mattina dopo, imprecando, pagò la guardia e tornò indietro.
Gli altri ragazzi si svegliarono lamentandosi per la notte passata al freddo, tranne il garzone che parlò solo del bellissimo cielo stellato sotto il quale aveva dormito; quindi tutti ripartirono in compagnia delle guardie.
“Sono certo che molti degli altri saranno già tornati indietro; specialmente il garzone, che con sé ha solo un sacco di farina” disse il figlio del professore alla sua guardia, mentre camminava. “Quanto manca all’arrivo in cima al colle?” domandò, e la guardia rispose: “Non ne ho idea, non ho mai accompagnato nessun uomo fino alla fine.”
I ragazzi proseguirono, tutti continuarono a spendere denari per ricevere agevolazioni durante il viaggio, tranne il giovane garzone che, ovviamente, non aveva nulla da spendere.
Ogni giovane giunse davanti a tre vie, senza sapere quale fosse quella da prendere. Il primo ragazzo rinunciò non appena vide che erano fangose, piene di liane e di insetti dall’aria velenosa; il secondo offrì moltissime monete alla guardia affinché gli suggerisse la strada corretta e lo trasportasse attraverso le liane, senza che ne sfiorasse nemmeno una; il terzo tentò una via, senza chiedere nulla alla guardia per non dover spendere denaro; il garzone propose alla guardia di dividersi in modo che avessero più probabilità di prendere la giusta strada.
I ragazzi proseguirono il cammino, e dopo molte ore si ritrovarono in tre in cima al colle.
“Siamo rimasti in tre!” esordì il ragazzo sulle spalle della guardia.
“Sì, ma soltanto due hanno davvero percorso il cammino, a quanto pare...” lo schernì l’altro. Il garzone era occupato a guardare il suo sacco di farina, che durante il cammino si era bucato e aveva perso più della metà del contenuto.
I due compagni lo guardarono divertiti, e poi si domandarono chi tra loro avesse più denaro.
“Certo, tu sei ricco, amico mio, ma io ho novecento monete d’oro e una di platino nelle tasche” ghignò il primo, ma l’altro, con uno sguardo ancora più malizioso, lo guardò e rispose: “Mi dispiace rovinare il tuo momento di gloria, ma farti portare in braccio da una guardia come un bambino ti è costato troppo, infatti ti batto con mille monete d’oro e tre di platino”.
Il primo ragazzo, furibondo, aprì la cassa del suo avversario e contò ogni sua moneta. Si rese conto che diceva la verità e, col cuore molto appesantito, si voltò, diede alla guardia il resto dei suoi soldi e ordinò: “Accompagnami al paese e percorri la via più breve”.
“Allora? Non abbandoni anche tu il cammino? Oltre che povero sei talmente stupido da non capire che ho vinto io?” chiese rivolgendosi al garzone.
“Oh, ho sempre saputo che qualcuno avrebbe conservato i suoi beni e ne avrebbe avuti più di me, ma voglio arrivare fino in fondo. L’ho promesso a mio padre”.
“Come desideri” rise il ragazzo, pronto a reclamare il suo tesoro.
Entrambi si avvicinarono alla casetta diroccata che era costruita di fronte a loro e quando aprirono la porta trovarono una giovane donna vestita d’oro, intenta a mescolare acqua e farina in una scodella.
“Sei forse tu la donna che consegnerà il mio premio?” domandò il ragazzo mentre porgeva i suoi soldi bruscamente.
“Sono io, ma dimmi, cosa sei pronto a sacrificare?”
“Ho con me mille monete d’oro e tre di platino”. “È solo questo ciò che hai da offrire?”
“Come? È forse poco? Il ragazzo al mio fianco ha solo mezzo sacco di farina!” “Ditemi, avete qui con voi tutti i soldi con cui siete partiti?”
“No, ne ho spesi la metà per poter essere qui ed offrirvi quelli restanti. Cosa importa?”
“E voi, ragazzo, avete qui tutto ciò che avevate all’inizio del vostro viaggio?” domandò rivolgendosi al garzone, che stava tremando per l’ansia e l’imbarazzo.
“No, giovane signora. Ho risparmiato tutto ciò che avevo durante il cammino, ma nella mia ultima sfida un ramo ha bucato il mio fagotto, e metà della farina è uscita. Chiedo scusa per aver portato qui soltanto questo povero sacco, ma era tutto ciò che avessi. So di essermi illuso”.
“Ho bisogno di farina per fare questo pane. Dammene un po’ della tua, e potrò premiarti”.
Il garzone si chinò e versò il contenuto del suo sacco nella scodella della donna, mentre il suo compagno stava in piedi dietro di lui, in silenzio.
La donna si alzò e disse: “Sei tu il ragazzo a cui darò il premio. Hai conservato con cura ciò che avevi e me lo hai donato”.
“Come?! Sono io colui che ha il bene più grande! Sono io colui ch’è ricco! Merito io il premio!” gridò il ragazzo nobile uscendo dalla casa furibondo e distrutto dalla rabbia.
A quel punto la donna si sedette, e nella stanza comparve Dioniso, il dio che aveva punito Re Mida per la sua avidità.
“Il denaro è un bene che ogni uomo sogna di possedere, ma spesso chi ne ha troppo finisce con l’esserne dominato; tu hai dimostrato onestà e cura nel risparmiare ogni granello di farina, pertanto ti donerò l’aiuto che ti serve per sfamare la tua famiglia e ti restituirò ciò che hai perso” disse Dioniso, lasciando a bocca aperta il giovane garzone.
Il giorno dopo, mentre i più ricchi erano tornati al paese a mani vuote e col cuore furibondo, il garzone rincasava con delle monete nella tasca destra, quelle che sarebbero bastate per aiutare il mugnaio e la moglie e, soprattutto, un nuovo sacco intatto, pieno di farina.
“Papà, mamma!” salutò il mugnaio e la moglie quando li vide da lontano, insieme al loro nipote.
“Figliolo mio! Sei tornato!” disse l’uomo emozionato.
“Ho ricevuto il premio, il più grande tesoro al mondo! E non è l’oro che tutti immaginavano; o meglio, ho ricevuto dell’oro con cui potrò aiutare la famiglia, ma mai come oggi credo nell’importanza dell’umiltà, e nel valore d’una cosa semplice come...”
“Come l’amore, la solidarietà e la farina con cui creiamo il nostro pane!” disse il bambino mentre saltellava felice.
La moglie del mugnaio sorrise, il suo nipotino aveva capito: anche con gli occhi chiusi, l’aveva ascoltata...