Luigi Craveri, il “cottolengo fossanese” (2ª parte)

Craveri Luigi

«Sono pronto ad andare dove Vi piacerà condurmi», dice Luigi Craveri al buon Dio durante la sua prima messa, ma non avrebbe mai immaginato di finire a Nizza, ad insegnar teologia agli studenti di quel seminario, di cui diventa anche vicerettore. Doti di natura e probabilmente anche la frequentazione assidua del teologo Lanteri hanno fatto di lui un insegnante apprezzato e un predicatore conteso dai principali pulpiti della zona. «Parlava con tanta chiarezza che anche gli idioti lo capivano», scrive il suo primo biografo, dove per "chiarezza" deve intendersi anche la passione, la convinzione e il sentimento con cui quest'uomo di Dio cerca di raggiungere la coscienza dei suoi uditori. Inevitabile che, così facendo, si faccia conoscere, apprezzare, notare e che addirittura re Carlo Alberto cominci proprio in questi anni a mettere gli occhi su di lui, ricordandosene poi al momento buono, come diremo in seguito.

Con queste premesse sembra aver tutte le carte in regola, sia come insegnante che come predicatore, per una carriera brillante che, si sa, qualche volta è una tentazione che sfiora anche gli uomini di Chiesa, se non fosse che (zampino della Provvidenza?) deve rientrare precipitosamente a Murello, perché il clima marino si sta rivelando davvero incompatibile con la sua salute. Non appena a casa, è rimesso rapidamente in sesto dalle doti mediche di papà, mentre le mutate condizioni climatiche fanno il resto, ma dato che non è capace di stare con le mani in mano decide di approfittare della convalescenza per conseguire all'università di Torino il dottorato in Teologia, per la serie "impara l'arte e mettila da parte". Cosa succeda di preciso non si sa, ma è certamente la grazia di Dio a fargli avvertire, alla soglia dei suoi trent'anni, il rischio di scivolare per colpa del successo e della notorietà in un tenore di vita troppo mondano, in totale contrasto con lo stile di ministero sognato negli anni di seminario. Per questo suscita scalpore, ma non stupisce più di tanto chi lo conosce bene, la sua partecipazione al concorso per la parrocchia di Andezeno, nel circondario di Chieri, che rappresenta un taglio netto con le prospettive che l'ambiente nizzardo gli aveva fatto balenare. È naturalmente un concorso che vince a occhi chiusi, ma negli ambienti curiali ci si domanda cosa un prete della sua levatura possa trovare di tanto allettante in una parrocchia con appena duemila anime e con una rendita annua assolutamente normale e comunque tale da non permettergli neppure un peccato di gola. Così nel 1809, mentre i soliti benpensanti si crogiolano in questi ed altri ameni interrogativi sulle scelte a dir poco opinabili di don Luigi, quest'ultimo inizia a fare il parroco, riversando tutto il suo ardore sacerdotale in una comunità che non brilla neppure per fede e pratica religiosa. Ad Andezeno si distingue subito come parroco "in uscita", sempre alla ricerca di chi è più debole, dei malati, dei poveri, di chi fa più fatica. Sono particolari che non sfuggono alla popolazione, forse non abituata ad un prete così, con il risultato che la fede si riaccende e i banchi della chiesa tornano a riempirsi.

Dopo circa 15 anni di servizio umile e generoso, che ha profondamente rinnovato il volto della parrocchia e che lo ha reso amatissimo dalla popolazione, all'apice quindi di ogni soddisfazione umana e spirituale, ecco che il pretino tutto preghiera e carità entra in una completa crisi vocazionale ed esistenziale. Incredibile a dirsi, l'esperto direttore di coscienze che con la sua parola e il suo consiglio risolleva dai dubbi e scaccia gli scrupoli dei suoi penitenti, avverte una profonda insoddisfazione per il ministero che sta svolgendo, comincia a temere per la sua salvezza eterna se continua a fare il parroco, inizia a sognare, come unica realizzazione della propria esperienza spirituale, il suo ingresso in un istituto religioso e specificatamente tra gli Oblati di Maria Vergine che il teologo Lanteri intanto ha fondato. Anzi, più o meno consciamente, è forse proprio quest'ultimo uno dei principali responsabili della crisi di don Luigi, insistendo troppo per averlo nella sua congregazione, nella quale potrebbe forse anche essere il suo successore (Lanteri muore infatti nel 1830). Per il nostro pretino è un calvario che dura parecchi anni e che si accompagna ad una notte oscura dello spirito che lo porta a dimettersi più volte dal suo ruolo di parroco, ogni volta dissuaso dai parrocchiani con le più commoventi manifestazioni di affetto e sempre contrastato dal suo vescovo, che lo esorta «a faticare nella diocesi ove ha succhiato il primo latte» e, alla fine, gli impone per obbedienza di restare ad Andezeno. Cessano così, per virtù di santa obbedienza, le "tentazioni" di don Luigi, nelle quali non è azzardato vedere anche la subdola azione del Maligno per distoglierlo da una missione pastorale che evidentemente sta provocando danni al “regno delle tenebre”.

(2 - continua)