Luigi Craveri, il “Cottolengo fossanese” (4ª parte)

Luigi Craveri

Dopo quattro anni di sede vacante, nel 1836 Fossano ha finalmente un nuovo vescovo nella persona di Ferdinando Bruno di Tournafort e cessa così anche l’incarico di Vicario Generale, che don Luigi Craveri ha fino ad allora esercitato per conto dell'Amministratore apostolico mons. Fransoni. Sono stati anni intensi, vissuti non solo in un ufficio di Curia, ma in primo luogo addossandosi i problemi di cui, strada facendo, viene a conoscenza. Si sa, e lo sperimentiamo ogni giorno, che la Provvidenza, con propri imperscrutabili criteri e secondo tempi che non necessariamente coincidono con i nostri, per dare corpo e sostanza alle intuizioni profetiche dei fondatori fa in modo che queste si incontrino con le risorse messe a disposizione da noti o ignoti benefattori. In questo, anche il nostro don Craveri non fa eccezione: nel medesimo anno 1836 prende corpo la sua idea di offrire assistenza «ai vecchi e a tanti altri languenti, che o per l’età o per incommodi insanabili o perché privi di ogni mezzo di fortuna e dell’aiuto dei congiunti, nel tempo del maggior bisogno correvano rischio di stancare la carità dei vicini o di perire tra quattro mura», dal momento che «nello Spedale maggiore, in vigore dei suoi Statuti, non si sogliono accettare, fuorché gli infermi febbricitanti od affetti da malattie acute».

Nasce così lo "Spedale dei Cronici", che altro non è che la concretizzazione dell'inguaribile "fantasia della carità" dei santi e dell'inesauribile azione di supplenza nei confronti dello Stato, svolta dalla Chiesa anche in campo assistenziale. Non molto diversamente, infatti, appena una decina d'anni prima, a Torino un tal Giuseppe Benedetto Cottolengo decide di " creare un ricovero dove potessero essere accolti e soddisfatti i bisogni assistenziali che non trovavano risposta altrove", dando così vita alla famosa "cittadella della carità" che da lui prende il nome e che tutti conosciamo. Così son fatti i santi, non solo quelli da calendario, ma anche quelli della "porta accanto". Che oltre ad essere fantasiosi sono anche profetici, e già due secoli fa inseguono sogni di "promozione integrale della persona" come il nostro don Luigi, che, controcorrente rispetto alla sua epoca, afferma che «liberare il prossimo dalla sola fame è insufficiente all’uomo… Curare una parte dell’uomo non è abbastanza, bisogna curare tutto l’uomo». E da questa sua convinzione nasce in Fossano la Piccola Casa della Divina Provvidenza, in seguito denominata "Opera Oggero-Brunetti", in cui accoglie ragazze povere, per assicurar loro, insieme al vitto giornaliero, istruzione e cultura perché possano un domani occupare con onore il loro posto nella società. In quest'ultima sua realizzazione trova anche non pochi motivi di amarezza e di intima sofferenza morale a causa dei soliti sconsiderati che, per affossare la sua ardimentosa carità, non trovano di meglio che accusarlo di abusi e violenze sulle giovani ospiti. Ci vorrà del bello e del buono per far emergere la sua assoluta innocenza e porre fine alle calunnie, lasciando spazio unicamente ai "numeri" di una carità smisurata che, solo nei primi cento anni di attività, annovera "1648 vecchi ricoverati e assistiti all'Ospedale dei Cronici e 646 ragazze povere accolte ed educate all'Opera Oggero-Brunetti".

Raccontano i testimoni che don Luigi, che dei suoi anziani ospiti è anche infermiere, inserviente, cuoco, badante, vuotavasi, sguattero, facchino e cameriere, nulla avrebbe potuto fare se non avesse incontrato sulla sua strada benefattori come Luigi Brunetti, Giovanni Gamba o il sacerdote Cussola, che si fidano talmente di lui da renderlo depositario di ingenti sostanze, subito convertite in assistenza gratuita e disinteressata per i bisognosi. Non è raro, ricordano, che, dopo aver dato completamente fondo anche alle proprie sostanze, arrivi a sfilarsi la maglia, la camicia, le scarpe e finanche i pantaloni per soccorrere i poveri che incontra per strada. L'ultima "pazzia", a poche settimane dalla morte, lo porta a donare ad una povera vedova la talare nuova che i confratelli gli hanno regalato in sostituzione dell'unica, “inverdolita” e consumata, che normalmente usa, perché rivendendola possa ricavare quanto le serve. Sarà il priore di san Giorgio, don Gabriele Pansa, a "riscattarla", per conservarla quale preziosa reliquia.

(4 – continua)