Pellegrini sulle strade del mondo in attesa di “cieli e terra nuova”

Padre Peyron, missionario della Consolata, è autore di un libretto sulle realtà “ultime”

Peyron Francesco
padre Francesco Peyron

Padre Francesco Peyron è un missionario della Consolata dal 1966. Nel suo lungo ministero sacerdotale, svolto in alcune parti del mondo e come superiore della Certosa di Pesio (prima di giungere a Fossano, tre anni fa, per dirigere la casa dell’Istituto a cui appartiene) ha incontrato ed incontra tantissime persone di ogni età e ceto sociale per accompagnamento e direzione spirituale. Oltre a presiedere momenti di preghiera e a scrivere libri di spiritualità. Il suo ultimo, “Cieli e terra nuova. Fisicità trasfigurata” (Effatà editrice, Cantalupa-Torino, pp. 79), è, come lo definisce lui stesso, “un opuscolo su una delle realtà più belle della vita”; la considerazione della propria esistenza, come dono “coronato di gloria e gioia senza fine”. Nell’ambito della storia della salvezza in cui si contempla (anche) il secondo ritorno di Cristo. Un argomento poco affrontato (oggi) nella Chiesa cattolica, che l’autore ci tiene invece a ribadire con forza, alla luce della sua esperienza personale, nel rapporto con la gente che a lui si rivolge.

Cosa l’ha spinta a scrivere su un tema così poco trattato nella Chiesa cattolica?
Oggi l’umanità è confusa, si perde dietro tante realtà negative, e ha bisogno di ritrovare il senso più profondo e autentico della vita nella Storia della salvezza (che vuol dire essere dei redenti da Cristo, dei figli amati e creati ad immagine e somiglianza di Dio, fatti per la vita eterna. Un giorno, poi, anche con la risurrezione dei corpi, che è una verità di fede espressa dalle Scritture, dalla dottrina della Chiesa e dai santi). Per riflettere, già fin d’ora, su questo nostro corpo così bistrattato, violentato, venduto, che invece è tempio dello Spirito Santo e risorgerà. Recuperare questa dimensione non è astrattismo, ma è rendersi conto di chi siamo veramente, a partire dalla Storia della salvezza nella sua globalità (cioè dal concepimento, come embrione che ha già l’anima, al battesimo, per chi è cristiano cattolico, e poi la vita su questa terra e la morte frutto del peccato originale, che è un passaggio, fino all’incontro con Dio, al ritorno di Cristo, per l’instaurazione di cieli nuovi e terra nuova). Temi che devono darci, per come li affronta la Chiesa, serenità e pace. Purtroppo, sono poco trattati, ma se vogliamo togliere la paura all’umanità e ridare il senso della gioia di chi siamo e dove andiamo, allora bisogna parlare di queste cose.

Quindi il suo scritto è rivolto un po’ a tutti?
È rivolto all’umanità in generale, per portare un messaggio di speranza in tanti cuori pieni di tristezza e di paura. Perché anche chi frequenta la Chiesa, magari su questi temi ci riflette poco; inoltre, vengono predicati poco, pur essendo fondamentali. La storia della salvezza non riguarda solo l’oggi, ma l’eternità! E questo viene dimenticato, irriso, sottovalutato. Creando, di conseguenza, rabbia, ripiego, gelosia, idolatria, avarizia, ricerca di piacere, e tutti i frutti della carne, come dice San Paolo.

Lei parla di “gloria futura”, che molti mettono in dubbio giustificandosi con la frase, “però nessuno è mai venuto indietro, sulla terra, a parlarcene”. Neanche Gesù, affermano, ci ha spiegato chiaramente cosa sia l’aldilà. Perché tanti timori ad ammettere il sovrannaturale, così come a predicarlo negli ambienti ecclesiali?
È un tema fondamentale; Gesù è risorto ed ha parlato del Regno futuro nei vangeli, se ne parla nell’Apocalisse, e ne parla San Paolo. Dunque, stiamo attenti a pregare le Scritture, non fermandosi alla mentalità di questo mondo pagano. Non si dimentichi inoltre che il maligno è astutissimo e vuole rapire dal cuore dell’uomo questa speranza, per gettarlo nelle idolatrie, nel “carpe diem”. Lo Spirito Santo soffia invece nell’uomo queste realtà eterne, di cui per esempio hanno parlato i santi. L’errore è staccare quello che si vive su questa terra, le realtà concrete, dall’aldilà (visto come qualcosa di possibile, ma non certo); mentre invece è un tutt’uno, e quanti ci hanno preceduto sono in comunione con noi. I primi cristiani si definivano infatti “paroikos” che significa pellegrini. Perché tali siamo da qui all’eternità. Per la gente siamo invece abitanti su questa terra, il più a lungo possibile, e nient’altro.

Intervista completa su La Fedeltà del 28 luglio