“Il collezionista di carte” – “Mondocane”

Il collezionista di carte

IL COLLEZIONISTA DI CARTE
di Paul Schrader; con Oscar Isaac, Tiffany Haddish, Tye Sheridan, Willem Dafoe, Ekaterina Baker.
La scena si apre sul verde di un tavolo da gioco di un casinò per poi spostarsi all’interno di un carcere. Sono queste le due ambientazioni che domineranno l’intero film, dove la prima, il tavolo da gioco, è la metafora perfetta di una vita in cui comanda la Fortuna - Fortuna imperatrix mundi - intesa come buona e cattiva sorte. Il carcere è invece il luogo nel quale il protagonista William Tell (un Oscar Isaac davvero bravissimo che recita “in sottrazione”) ha trascorso otto anni della sua vita imparando ad amare i libri e a giocare a carte. Ora che quel tempo è alle spalle, alle spalle sì, ma non per questo dimenticato, Will si guadagna da vivere come giocatore di poker professionista, passando da un casinò all’altro. Vive nell’ombra e si accontenta di obiettivi modesti, punta poco, vince e perde poco, e lascia il tavolo quando il gioco si fa duro. In realtà per Will il gioco è un analgesico, contare le carte e gestire la tensione delle partite impegna il suo cervello e lo aiuta a tenere lontani i ricordi di un terribile passato che lo tormenta e non gli dà quiete, sono gli incubi della guerra in Iraq e della prigione di Abu Ghraib. Ma un giorno, lo stesso giorno, due incontri, distinti ma paralleli, il maggiore Gordo (Willem Dafoe) e il giovane Cirk (Tye Sheridan) figlio di un suo commilitone e in cerca di vendetta, segneranno una svolta nella vita di Will.
Film che si nutre di attese come il gioco del poker, “Il collezionista di carte” compie un’interessante riflessione su guerra e potere, su violenza e giustizia e più in generale sul senso di colpa e sulla redenzione, con alcune sequenze davvero indimenticabili (il dialogo tra Will e Cirk relativo alle mele marce, la confessione di Will che ammette che “nulla giustifica ciò che abbiamo fatto”) con Will ostinatamente in cerca di una sorta di “giustizia riparativa”. Forse un ritmo un po’ più incalzante, soprattutto nella seconda parte, avrebbe giovato all’economia globale del film, ma la recitazione degli attori e la metafora che regge l’intero film (la vita come una partita a poker) valgono il prezzo del biglietto.

Mondocane

MONDOCANE
di Alessandro Celli; con Dennis Protopapa, Giuliano Soprano, Alessandro Borghi, Barbara Ronchi, Ludovica Nasti.
Italia, futuro prossimo venturo. Una città (Taranto) devastata e preda di gang senza scrupoli in lotta tra di loro. Una città senza futuro, senza domani, come i suoi abitanti o meglio, ciò che è rimasto dei suoi abitanti, dopo che è stata evacuata a causa dei danni provocati dall’acciaieria. Le gang si scannano per il controllo del territorio, parola grossa per indicare quel deserto di ruderi che rimane all’interno delle recinzioni. La Polizia, fuori del perimetro cerca di mantenere una parvenza di controllo, ma in città è il caos. Testacalda (un Alessandro Borghi decisamente a suo agio nel ruolo) è il capo delle Formiche, una masnada di ragazzini assatanati in lotta permanente con le altre gang, una lotta senza quartiere per la sopravvivenza, chi poteva se n’è andato da tempo.
Pietro e Christian sono entrambi orfani, tredici anni è il cuore pieno di paura, come direbbe De Gregori. Vorrebbero entrare a far parte delle Formiche, per loro vorrebbe dire molto, forse la salvezza, chissà. Pietro, detto Mondocane supera la prova, e in qualche modo impone l’accettazione anche del suo amico Christian che però diventerà oggetto di scherno da parte della gang. La loro amicizia, il loro destino e quello dei loro coetanei è nelle mani di TestaCalda, villain e maestro al tempo stesso, in una città, un mondo che non sembra conoscere pazienza, crescita e futuro, ma solo odio, violenza e sopraffazione.
Favola nera e distopica, un po’ romanzo di formazione, un po’ road movie catastrofico il film, scritto e diretto da Alessandro Celli (all’esordio nel lungometraggio) e prodotto da Matteo Rovere (“Il primo re”, regia, “Smetto quando voglio”, “L’isola delle rose” come produttore, ndr) è un esperimento decisamente riuscito che incrocia il registro post-apocalittico con quello cyberpunk, proiettando lo sguardo al cinema d’oltre oceano (evidenti i richiami alla saga Mad Max) nel tentativo di sprovincializzare il cinema di genere italiano ed uscire dai confini nazionali. Una sceneggiatura un pochino più strutturata e lineare non avrebbe guastato, ma nel complesso la prova può dirsi assolutamente riuscita.