La comunità di San Lorenzo ricorda il beato Alberione a 50 anni dalla sua morte

casa natale di don Alberione

“Il Beato Giacomo Alberione venne battezzato qui, in questa piccola chiesa, il giorno successivo alla sua nascita, il 5 aprile 1884. Il Maestro fu sempre grato ai suoi genitori per questa sollecitudine e ringraziò sempre il Signore per la Grazia ricevuta attraverso il Battesimo; lo considerava il più grande dono e ne andava fiero molto più che per il riconoscimento ricevuto da Papa Paolo VI che gli conferì l’ onorificenza “Pro Ecclesia et Pontifice”.

Con queste parole il Superiore della Società San Paolo di Alba, don Venanzio Floriano, domenica 21 novembre, durante la celebrazione per il 50° anniversario del ritorno a Dio del Beato Alberione (morto il 26 novembre 1971), ha spiegato il profondo legame del santo con la comunità di San Lorenzo, sottolineando come lo stesso Maestro citasse spesso questo dato, proprio per la centralità che egli assegnò sempre al Battesimo.

Durante la celebrazione (foto sotto), a cui hanno partecipato molti parenti del Beato Alberione e numerose rappresentanze della Famiglia Paolina (erano presenti i Cooperatori Paolini, le Pie Discepole del Divin Maestro, tra cui la suora superiora e la sanlorenzese suor suor Gianfranca Rulfo - suore di altre congregazioni, rappresentanti dell’Istituto Santa Famiglia), è stata ricordata la lungimiranza del fondatore della Società San Paolo che seppe intuire, già a inizio del secolo scorso, il ruolo dei mezzi di comunicazione sociale come efficace strumento di evangelizzazione.

I parrocchiani hanno sottolineato la concretezza del modo di operare del Beato Alberione, una concretezza propria della cultura contadina respirata fin da bambino, che gli consentì di pensare e realizzare una struttura originale, complessa e “monumentale” – come la definì Papa Paolo VI - qual’è la società San Paolo, a supporto del progetto di evangelizzazione attraverso i mezzi di comunicazione sociale.

La Giornata è proseguita con un momento di preghiera, guidata dal parroco di San Lorenzo don Damiano Raspo nel cortile della Casa Natale di don Alberione (nella foto in alto) a cui hanno partecipato alcuni rappresentanti della Famiglia Paolina, i coniugi Paolo e Giustina Negro dell’Istituto Santa Famiglia, preziosi custodi della Casa Natale, i parenti del Beato Alberione e una rappresentanza della comunità di San Lorenzo.

Don Damiano, nel sottolineare la grandezza del lavoro realizzato dal Beato Alberione, ha ricordato come, missionario in Brasile, gli sia capitato di incontrare un ‘Paolino’ proveniente da una favela dove – raccontava questo ragazzo – si poteva affittare una pistola per mezz’ora… “È significativo che un ragazzo vissuto in una zona così degradata avesse incontrato il Vangelo attraverso i Paolini e ora stesse a sua volta evangelizzando attraverso una delle tante organizzazioni della Famiglia Paolina” – ha concluso don Damiano”.

 

i partecipanti al 50° anniversario di don Alberione sul sagrato della chiesa di san lorenzo       Il superiore della Società San Paol di Alba con il parroco di San Lorenzoo

Un po' di storia...

Giacomo era il quarto di sei figli (Giovanni, Giovenale, Francesco, Giacomo, Tommaso e una figlia morta prematuramente).

Papà Michele, contadino, aveva sposato Teresa Allocco, originaria di Bra (cascina Boschetto) e, come succedeva all’epoca agli affittuari, era costretto a spostarsi spesso da una cascina all’altra. L’anno in cui nacque Giacomo la famiglia si trovava a San Lorenzo, sull’altopiano del Famolasco, ma ci restò poco; due anni più tardi si trasferì nel comune di Cherasco, parrocchia di San Martino, dove si fermò un po’ di più e Giacomo frequentò le scuole elementari e il catechismo. Il fratello Tumalin, a lui molto legato, raccontava ai nipoti che fin da piccolo Giacomo, appariva poco “tagliato” per i lavori della campagna ma era già molto attratto dalla preghiera e, attraversando i campi, raggiungeva la chiesetta della Madonnina posta sopra la cascina “Agricola” di Cherasco dove vivevano.

A 16 anni Giacomo entrò in Seminario ad Alba; il 29 giugno 1907 venne ordinato sacerdote. Il suo primo incarico fu di vice-parroco a Narzole, ma intanto insegnava in seminario ed era richiesto per predicazione, catechesi, conferenze nelle parrocchie della Diocesi. Intanto dedicava molto tempo allo studio sulla situazione della società civile ed ecclesiale del suo tempo. Maturarò in lui la convinzione che fosse necessario portare il Vangelo a tutti i popoli, nello spirito dell'Apostolo Paolo, utilizzando i mezzi moderni di comunicazione.

Don Giacomo Alberione era convinto che tale missione, per avere efficacia e continuità, dovesse essere assunta da persone consacrate, Così il 20 agosto 1914, diede avvio alla «Famiglia Paolina» con la fondazione della Pia Società San Paolo. Un inizio poverissimo, secondo la pedagogia “iniziare sempre da un presepio”. Presero pian piano forma le numerose congregazioni che daranno vita alla vastissima Famiglia Paolina, un cammino che sembrò interrompersi nel 1923, quando Don Alberione si ammalò gravemente; il responso dei medici non lasciava speranze. Ma il fondatore riprense miracolosamente il cammino: “San Paolo mi ha guarito” - commenterà in seguito.

Da Famiglia Cristiana al Giornalino

Contemporaneamente don Alberione iniziò a realizzare il suo sogno di diffondere i valori del Vangelo attraverso i nuovi mezzi di comunicazione: nel 1912 nasce la rivista Vita Pastorale destinata ai parroci; nel 1921 il foglio liturgico-catechetico La Domenica; nel 1931 nasce Famiglia Cristiana, una vera rivoluzione nel mondo dei mass media perché, con il suo linguaggio, i suoi contenuti e le sue rubriche sa parlare davvero a tutti tanto da raggiungere una diffusione amplissima. Seguiranno: La Madre di Dio”; Pastor bonus; Via, Verità e Vita; La Vita in Cristo e nella Chiesa”. Infine Don Alberione pensò anche ai ragazzi: per loro fece pubblicare Il Giornalino.

Intanto la Famigia Paolina cominciò a uscire dai confini locali e nazionali. Nel 1926 nacque la prima Casa filiale a Roma, seguita negli anni successivi da molte fondazioni in Italia e all'estero.

Nonostante il suo fisico fragile e una scoliosi che lo aveva sempre molto affaticato rendendo dolorosi gli ultimi anni, don Giacomo Alberione visse 87 anni, morendo il 26 novembre 1971.

I ricordi dei pronipoti

A Cavallermaggiore vive una nipote di don Giacomo, molto anziana - 95 anni (Francesca, figlia di uno dei fratelli di don Giacomo, Francesco); alla Salsa, tra Marene e San Lorenzo, a Cherasco e a Bra vivono diversi pronipoti.

Abbiamo incontrato un pronipote, Mario Bottero che vive a Cherasco con la moglie Marita e la figlia Elisa.

Mentre consultiamo le foto storiche (i pronipoti con lo zio le rare volte in cui lo si è potuto incontrare ad Alba, i fratelli e il nonno riuniti in una rara foto di famiglia, i fratelli in visita alla camera ardente e l’albio genealogico redatto da Elisa) Mario ci racconta di quando lui piccolo ascoltava i racconti di zio Tumalin, il fratello più legato a zio prete, che viveva a Roreto, in cascina vicino a loro. “Ci aiutavamo, zio aveva una sola figlia, morto prematuramente, quindi era molto legato a noi. E ci raccontava di don Giacomo, delle sue grandi capacità. Lui lo aveva anche aiutato, perché don Giacomo a volte non sapeva dove sbattere la testa: del resto aveva realizzato grandi cose senza disporre di una lira, contando sulla Provvidenza. Tumalin gli era stato sempre vicino. E don Giacomo gli fu riconoscente; quando fu anziano gli riservò una stanza ad Alba, nella casa San Paolo, dove egli aveva studiato.

Mario ricorda di aver visto don Giacomo una volta sola. “Avevo 10 anni; zio era tornato ad Alba in occasione di un anniversario della Società San Paolo. All’epoca mio padre aveva la campagna; si faticava a tirare avanti. Mio padre gli parlò delle sue difficoltà. Don Giacomo gli disse: “Stai tranquillo, avrai quello che ti meriti”. E in effetti la situazione migliorò. Anche si sente un miracolato dallo zio. Racconta che in gioventù la sua auto, dopo una serata alla fiera dei porri a Bene Vagienna finita in baldoria, sbandò pericolosamente sul ponte dello Stura sfasciandosi in una scarpata. “Avevo 21 anni; ebbi il tempo di stringere forte la medaglietta della Madonna ricevuta dalla zio. Mi raccomandai a lui. L’auto cominciò a sbandare tranciando un palo della luce che ne deviò la traiettoria impedendole di precipitare nel fiume; piroettò finchè si fermò in una scarpata. Uscimmo dall’auto illesi”.