Con il suo “umile amore” il vescovo Soracco conquistò i fossanesi (2ª parte)

Soracco Angelo

Dalla sua diocesi d'origine mons. Soracco porta in dote a Fossano una particolare e filiale devozione mariana, un amore veramente paterno e illuminato per l'Azione Cattolica e una specialissima cura per il Seminario. I palpiti della sua devozione mariana si colgono nelle sei lettere pastorali (specialmente la seconda) e nella premura con cui fin dal suo arrivo in diocesi circonda il santuario di Cussanio, suo pulpito preferito in ogni giorno dei vari mesi di maggio vissuti a Fossano. Al seminario dedica le sue più premurose attenzioni, richiamando i liceisti da quello di Cuneo in cui erano stati accorpati e trovando al seminario minore più idonea collocazione nei locali di Cussanio. Tiene personalmente i corsi di sacra eloquenza e diritto canonico agli studenti del corso teologico e vuole che la diocesi procuri ad Entracque una casa vacanze per i seminaristi, in sostituzione di quella di Roata Chiusani. «Più di una volta fu udito dire che avrebbe lasciata scoperta una parrocchia piuttosto che privare i due Seminari di personale sufficiente e preparato», attesta don Giorgio Canale, rilevando pure che, forse non a caso, proprio negli anni del vescovo Soracco era «cresciuto in modo consolante il numero dei seminaristi».

Vive poi con l'Azione Cattolica, in particolare quella giovanile, gli anni più fanatici della propaganda fascista e quelli più bui della guerra. Per questo partecipa direttamente alla loro formazione, accompagna molti giovani con una illuminata direzione spirituale, li sprona a guardare oltre la guerra e a preparare la rinascita: «Tenete acceso il fuoco perché non si spenga e preparate ambiente e clima affinchè nel dopo guerra, quando tornerete ad essere in molti, la Gioventù di Ac sia all'altezza del suo compito che sarà quello di portare la carità e la morale cristiana nella società». «In bilico tra un mondo ormai in frantumi ed un altro che s'avviava a formarsi in un turbinio di violenza e sofferenza, con profetica intuizione il Vescovo sapeva di dover stare accanto a quel seme di speranza per un futuro diverso e migliore, di pace», ha efficacemente commentato Giovanni Cornaglia e così si spiega anche la sua paterna sollecitudine per la scuola di catechismo e per la formazione dei catechisti, come il metodo suggerito ad ogni parrocchia per coltivare quel "seme" fin dall'infanzia e preparare efficacemente i cristiani del domani. Oltre a spingere perché ogni parrocchia organizzi corsi speciali per una conveniente preparazione dei catechisti e ad istituire in seminario la cattedra di catechetica, dedica alla catechesi dei bambini e degli adulti l'intera sua lettera pastorale del 1939, la quarta. «Se in parrocchia vi sono dei fanciulli che non frequentano il catechismo, appendete i nomi nel vostro ufficio e non datevi pace fino a che anche uno solo di essi rimane assente» è il consiglio che regala ai parroci, raccomandando anche loro: «Se nella parrocchia vi sarà qualche ragazzo ribelle, disertore della scuola per noncuranza e colpa dei genitori o parenti, dobbiamo andarlo a cercare con tutta sollecitudine, come il Pastore buono la pecorella smarrita».

Oltre a questi tratti, che delinenano il suo metodo pastorale, non va dimenticato lo stile caritatevole e povero della sua vita, frutto questo di un preciso programma di vita e di un'ascesi personale, già attestata a Chiavari ben prima della sua elezione a vescovo. Il padre di Beppe Manfredi, che ogni mese va in vescovado a fargli i capelli, per descrivere al figlio la signorilità e l'estrema bontà di Soracco racconta spesso che «una volta, alla fine dell'anno, gli chiese il pagamento dei servizi rimasti in arretrato di sei mesi, mentre il vescovo pagava prima regolarmente ogni mese; il vescovo non disse che un "garzone" di mio padre si era fatto dare lui i soldi...e pagò due volte», per evitare un licenziamento su due piedi al "ragazzo di bottega". Per il canonico Sapetti non è sempre vero che "morto un vescovo se ne fa un altro", perché «chi pensa e parla così non ha conosciuto il mio vescovo». E per farlo conoscere anche a noi, ce ne parla con la sua penna forbita su "La Fedeltà" del 17 marzo 1943 (la prima uscita dopo il decesso di Soracco, avvenuto il giovedì precedente), per dimostrare quanto il "suo" vescovo sia stato «un padre sapiente e buono», concludendo che «quelli che l'hanno soltanto sentito forse mettono l'intelligenza prima della bontà; quelli che l'hanno avvicinato, anche solo una volta, sanno che in lui la bontà ebbe sempre la precedenza».

(2 - continua)