Negli ultimi sei mesi il numero di accessi al pronto soccorso psichiatrico di Savigliano di giovani tra i 16 e i 25 anni è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Se tra settembre e febbraio 2020/2021 erano stati 9, nello stesso periodo a cavallo tra il 2021 e il 2022 sono saliti a 21 ed è inoltre scesa l’età del disagio.Un dato statistico che pesa come un macigno. È quanto emerge dall’intervista a Erika Paradiso, psichiatra dell’Ospedale di Savigliano. Un dato, come spiega la dottoressa Paradiso, assolutamente parziale perché in orario diurno i pazienti giovanissimi vengono in realtà presi in carico dai servizi di neuropsichiatria infantile e: “In pronto soccorso arrivano i casi più gravi, oltre ai disturbi d'ansia e depressivi, le condotte autolesive, i disturbi alimentari, l'abuso di sostanze e le reazioni di eteroaggressivita”.
Quello che è cambiato non è solo un dato numerico, ma anche la tipologia di pazienti, la loro provenienza, il loro vissuto: “Prima del lockdown ci trovavamo davanti giovani che subivano le pressioni, ad esempio, della scuola. Nel primo anno di pandemia questi casi si sono ridotti”. La didattica a distanza, il forzato isolamento, sembra aver quasi protetto i più timidi, riducendo le pressioni da parte del bullismo dei compagni, ma col tempo, invece, i problemi si sono moltiplicati: “Il sistema ha tenuto all’inizio, nella fase dell’andrà tutto bene, ma è esploso negli ultimi sei mesi e arrivano anche giovani di meno di 16 anni”.
Le cause di questo crollo sono, secondo la dottoressa Paradiso, da individuare in molteplici ragioni con origini ben anteriori rispetto alla pandemia che è stata però un detonatore: “assistiamo ad un aumento del disagio giovanile, ma è il sistema che si è ammalato, perché è venuto meno il ponte con la comunità, con quella relazione tra i pari che facevano da connessione per i giovani tra interno ed esterno, inteso come famiglia e società, ma anche come mondo interno e mondo esterno della persona. Nel momento in cui i giovani avrebbero dovuto affacciarsi alla socialità, al mondo esterno alla famiglia, la pandemia ha chiuso tutto, riducendo la possibilità di acquisire le competenze sociali ed emotive, quelle che possono servire ad esprimere a parole il loro disagio. Questo si traduce a volte nell'agito impulsivo a cui ci troviamo di fronte spesso in ambito di cura (aggressività verso sé o altri, condotte alimentari alterate, ricorso alle sostanze)”.