La devozione di monsignor Soracco per il “prete santo di Piovani” (1ª parte)

Conte Don Giuseppe
don Giuseppe Conte

«Dio non ci ha creati per essere condottieri solitari, ma per camminare insieme», ci dice oggi papa Francesco. Difatti i santi non spuntano mai come funghi, isolati tra loro, ma spesso le loro vite si intrecciano, si sostengono e si modellano a vicenda in una sorta di santa emulazione, regalandoci così una fitta trama di santità diffusa, come ad esempio è avvenuto con i "santi sociali" dell'Ottocento torinese e, in dimensione certamente minore, negli anni fossanesi di monsignor Soracco, nella cui parabola umana è senz'altro significativa la presenza del Servo di Dio don Stefano Gerbaudo.

È il primo dei sacerdoti che ordina, a neppur quaranta giorni dal suo ingresso in diocesi e a questo chierico (che sta facendo "anticamera" da un bel po', prima per la malattia e la morte del vescovo Travaini, poi nei lunghi mesi di "sede vacante") chiede di fare uno slalom (oggi inimmaginabile) nella sequenza dei vari adempimento che precedono l'ordinazione sacerdotale: gli conferisce gli Ordini Minori (Esorcistato e Accolitato) il 6 aprile, il Suddiaconato il 20 aprile (sabato santo), il Diaconato due giorni dopo, a Pasquetta, per arrivare all'ordinazione sacerdotale dopo neppur quindici giorni, il 3 maggio 1935. Da questa "primogenitura" nasce una profonda stima e un grande affetto per il sacerdote centallese: «Vi mando un prete santo» è l'impegativo biglietto da visita con cui annuncia ai chierici la di lui nomina a padre spirituale del seminario, mentre in seguito non avrà paura di additarlo a modello del clero, affermando senza esitazione; «Ecco un prete che dice bene la messa!». Si tratta di una stima e una venerazione ampiamente contraccambiata, anche solo a giudicare da queste parole di don Stefano, indirizzate alle sue "figlie" dall'ospedale torinese in cui è ricoverato: «In questo stesso ospedale è stato in osservazione ed è stato operato l'indimenticabile mons. Soracco. Oh, come il suo ricordo mi è caro e come vorrei avere un po' del suo spirito». Tutto questo tralasciando, per il momento, l'offerta di "vittima" che sembra accomunare i due e che testimonia la loro comune passione "per le anime". Se papa Luciani era solito ricordare che "ogni buon ladrone ha la sua devozione", figuriamoci monsignor Soracco, nella cui vita è particolarmente significativa la presenza materna di Maria.

Dobbiamo però alla buonanima di don Minero, il quale a sua volta attinge agli appunti di don Baravalle che ha fatto da infermiere al vescovo negli ultimi mesi, di averci tramandato il ricordo di un prete diocesano, morto in fama di santità, sconosciuto ai più, forse anche nella sua stessa terra. Parliamo di don Giuseppe Conte, cancelliere vescovile, che nasce già orfano di padre nel 1904 e che perde anche la mamma a poche settimane dalla nascita. È nonna Maria di Piovani a prendersi cura di lui e a coltivare la sua inclinazione al sacerdozio, che subito dopo le elementari lo porta in seminario, dove cammina spedito verso l'ordinazione, celebrata in cattedrale il 2 giugno 1928. All'evento il nostro settimanale dedica uno spazio inusitato, forse anche perché ben cinque sono gli ordinandi "diocesani": due centallesi (don Felice Peano e don Giacomo Gertosio), un genolese (don Antonio Mana) e il fossanese don Giuseppe Chiaramello, oltre al salesiano don Secondo Pivano.

L'avvenimento solletica addirittura la penna di "Brut e bôn" (Bernardo Garneri), che gli dedica uno dei suoi sonetti (che, per il momento, ci risulta l'unico composto per un'ordinazione sacerdotale), in cui, tra l'altro, ricorda agli ordinandi che «La vostra a l'è missiôn. - l'è nen cariera.- l'è na mission d'amor e 'd civiltà; dnanss a vôiaôtri ai casca ogni bariera - se a 'v cômpagnô la Fede e la Pietà!» Il martedì successivo, alle 10 (perché poi in giorno feriale in una stagione di grandi lavori agricoli?) Piovani si prepara a festeggiarlo per la sua prima messa: il collega cronista ci assicura che «la chiesa era sfarzosamete ornata di tappezzeria, ricchi apparati e profusioni di variopinti naturali fiori», tutto era pronto, insomma, ma il festeggiato non celebra «per improvvisa e provvisoria indisposizione»: forse (ma è solo una nostra congettura) una prima avvisaglia della salute fragile che lo accompagnerà per tutta la vita?

(1 - continua)