La Giornata internazionale dei diritti della donna vista con gli occhi e attraverso le parole di giovani donne. Quest’anno La Fedeltà, grazie alla collaborazione con il Liceo Ancina, ha deciso di lasciare spazio agli scritti di un gruppo di studentesse che fanno parte della redazione de L’Anciniano, il giornalino di istituto. Cosa pensano i giovani di questa giornata, cosa significa parità, quanto manca e cosa manca per dire che la parità è stata davvero raggiunta? Cosa significa femminismo oggi e quanto la cultura è ancora impregnata di patriarcato e di una visione maschilista?
I loro contributi si trovano su "la Fedeltà" di mercoledì 2 marzo. Pubblichiamo di seguito quello di Erica Lombardo.
Quanto manca a essere pari?
Dal 1922 l’Italia festeggia la giornata della donna; l’8 marzo 2022 ne ricorre dunque il centesimo anniversario. In realtà, nel contesto internazionale la festività fu istituita diversi anni prima e iniziò ad essere celebrata con regolarità a partire dal 1914, in Germania, a seguito di una serie di manifestazioni tutte al femminile organizzate per rivendicare il diritto di voto ed esprimere preoccupazione per i venti guerra.
Tuttavia, nonostante la ricorrenza annuale della giornata della donna, spesso il riconoscimento sociale dei successi ottenuti in ambito lavorativo o personale stenta ad arrivare. Oggi le possibilità di emancipazione sono certamente aumentate, ma questo non deve farci dimenticare che la parità non è ancora raggiunta.
Si consideri, ad esempio, il gender pay gap, ossia la differenza tra la retribuzione delle donne e quella degli uomini, che rispecchia anche il divario fra le possibilità di carriera. Secondo l’Eurostat, tale indice è in Italia uno dei più penalizzanti del continente. Con la pandemia la situazione è ulteriormente peggiorata, in quanto la differenza tra le buste paga delle donne e quelle degli uomini è aumentata di 0,4 punti, raggiungendo la soglia dell’11,5%. È come se ogni anno le donne lavoratrici italiane fossero pagate a partire dal 7 febbraio, pur lavorando regolarmente dal 1° gennaio.
La scalata verso il successo e l’ascesa a posizioni lavorative di vertice sono spesso difficoltose per le donne che aspirano a ruoli tradizionalmente riservati al genere maschile (come la politica); ma non solo: spesso si consiglia alle donne di non accennare, nel corso dei colloqui con potenziali datori di lavoro, alla volontà di avere figli in futuro. Si predilige infatti un dipendente uomo per evitare il “rischio” di dover retribuire una donna che non può lavorare durante il periodo di gravidanza; e le norme che ne tutelano la posizione diventano talvolta un ulteriore fattore di discriminazione.
Il gender pay gap incide negativamente non solo sulla situazione economica, ma anche sull’autostima delle donne, che spesso, sul lavoro, finiscono per sentirsi esse stesse meno meritevoli di una promozione, per cui non affrontano l’argomento con il datore di lavoro e abbandonano le loro ambizioni. Con l’avvento dello smart working, si aprono nuove prospettive per la conciliazione fra vita professionale e personale: queste possibilità tuttavia non sono esenti da rischi, perché potrebbero finire per far ricadere nuovamente la donna nello stereotipo della figura a cui spetta interamente il compito della cura della casa e della famiglia. Inoltre va ricordato che lo smart working femminile, durante l’emergenza sanitaria, ha rappresentato per le vittime di maltrattamenti domestici l’impossibilità di allontanarsi anche solo per qualche ora, con la scusa del lavoro, da situazioni familiari estremamente difficili.
Secondo l’Oxfam, per ridurre le disparità di genere sul lavoro bisognerebbe introdurre sgravi contributivi per le imprese che prevedono misure di conciliazione tra vita professionale e vita privata, rivedere il sistema fiscale per facilitare l’inserimento lavorativo di entrambi i coniugi e aumentare i servizi pubblici per la famiglia e la cura dei figli.
Nella condizione sociale dell’uomo e della donna l’ipoteca del passato si sente ancora; tuttavia due bambini, un maschio e una femmina, sono oggi in grado di realizzare se stessi in uguale misura, se possono crescere in un contesto di pari dignità, in cui si abbandona ogni discriminazione per perseguire senza distinzioni il pieno sviluppo delle potenzialità di ciascuno.
Erica Lombardo