Endometriosi: “Il dolore acuto non è mai normale. Ragazze, parlatene. Parliamone”

Il racconto di Anna Ruffinengo dell’associazione “La voce di una è la voce di tutte”

Ti dicono che è normale, che è solo ciclo. Ma i dolori sono così forti da costringerti a letto anche per giorni interi, giorni in cui salti la scuola o salti il lavoro. Così vai di nuovo dal medico, questa volta ti dice che è colpa della “testa”, che servono dei calmanti. E ancora la situazione peggiora: il dolore diventa cronico, durante il ciclo mestruale, durante i rapporti, la minzione, l’evacuazione intestinale. Poi si aggiungono emicrania, nausea, problematiche a livello intestinale. Per alcune donne questo calvario dura anche più di 10 anni prima che venga diagnosticata la vera causa di tali dolori invalidanti: endometriosi. In Italia sono 3 milioni le donne con diagnosi conclamata, 300 mila solo in Piemonte.
La malattia consiste nell’insediamento e nella crescita fuori sede di tessuto endometriale, ossia la mucosa che riveste la parete interna dell’utero e che si sfalda durante il ciclo mestruale. L’impianto anomalo dei frammenti di endometrio sulla superficie di altri organi quali ovaie, tube, intestino, vagina e vescica, causa dolori fortissimi, uno stato infiammatorio dei tessuti e la formazione di tessuto cicatriziale e aderenze che, se trascurati, possono anche causare infertilità. “Nei casi peggiori può arrivare anche a intaccare il fegato, o il cuore”, ci spiega Anna Ruffinengo, fossanese che fa parte dell’associazione“Lavocediunaèlavocedi tutte” dedicata proprio alle donne che soffrono di endometriosi.
Anna oggi ha 28 anni. “Già a 12 anni a ogni ciclo avevo dolori fortissimi - racconta -. Rimanevo a casa da scuola, avevo mal di testa, stipsi cronica. Il ginecologo mi diceva che tutto era normale, solo ciclo”. Nel 2013 Anna è finita in ospedale per una forte perdita ematica: “Mi hanno detto che non era nulla, che ero agitata e dovevo assumere calmanti. Con un anticoagulante tutto passerà, dicevano”. E invece pochi mesi dopo è stata sottoposta al primo intervento, grazie al professor Tigelio Gargiulo. “Avevo 20 anni e dovetti andare privatamente, perché all’epoca era un’operazione di lusso. Fu un’operazione invasiva, ma almeno al mio dolore fu dato un nome per la prima volta. Ricordo mia mamma in ospedale, arrabbiata perché i medici che avevo consultato negli anni, non avevano visto ecograficamente la mia situazione, piena di endometriosi”. Finalmente una diagnosi vera, otto anni dopo i primi sintomi. Ma, come per ogni malattia, anche l’endometriosi più tardi viene diagnosticata peggio è. Cinque anni fa è nata Celeste, la bimba di Anna: “Mi avevano detto che era quasi impossibile riuscire ad avere una gravidanza. E invece, il mio miracolo, è arrivato”.
Un anno dopo il parto i dolori sono tornati, più forti, e nel 2020 è stato necessario un nuovo invasivo intervento chirurgico a Verona. Il Veneto ha centri all’avanguardia per la malattia, mentre il Piemonte il 28 marzo scorso, nella giornata dedicata all’endometriosi, ha approvato la legge regionale, che modifica e integra la precedente 10/2017: prevede l’istituzione del Registro regionale elettronico dell’endometriosi e del Centro di riferimento regionale, che si occuperà di pianificare le attività formative e di aggiornamento per il personale socio-sanitario di strutture ospedaliere e consultori.
Lo scorso anno è nata, con sede a Vercelli, la Onlus “La voce di una è la voce di tutte”, di cui Anna Ruffinengo fa parte: “Ci occupiamo di aiutare e supportare le donne che vivono e convivono con la patologia. Abbiamo attivato il telefono ‘giallo’, come il girasole simbolo dell’endometriosi, 800/189411 attivo dal lunedì al venerdì dalle 17 alle 19. Stiamo promuovendo le panchine ‘gialle’ per far conoscere la malattia. E soprattutto vogliamo incontrare le ragazze”. Per dire cosa? “Che il dolore non è mai normale, che non si devono vergognare a parlare dei loro sintomi. Che se pensano di non essere prese sul serio devono cercare un altro medico. Endometriosi, vulvodinia, adenomiosi: sono tutte malattie che portano molto dolore. E sono molto più diffuse di quanto si possa pensare. Prima vengono diagnosticate prima si può intervenire per provare a rallentare la corsa della malattia”.