In questa routine, pur con le limitazioni e i sacrifici imposti dal periodo bellico, scorrono giorni, settimane e mesi di una guerra fratricida che si è organizzata sui monti in resistenza armata e che con azioni di guerriglia e sabotaggi prepara l'avanzamento degli Alleati. Tra i partigiani non sono confluiti soltanto gli sbandati dell’8 settembre o i renitenti alla leva di Salò, ma soprattutto quanti al nazifascismo si oppongono in nome di un ideale. E tra questi ultimi si colloca Stefano Ambroggio. Infatti, la sua non idoneità al servizio militare non lo obbligherebbe, di per sé, a darsi alla macchia; dicono che, per lui e per altri cristiani impegnati, scegliere la via dei monti e l'adesione attiva all'attività partigiana corrisponda alla necessità di tradurre in pratica il Vangelo e di restar fedeli a quei valori spirituali che l'Azione cattolica trasfonde, principalmente, con la lettura e il commento delle encicliche papali durante gli incontri formativi dei soci, iniziati già in epoca fascista e continuati poi nel periodo bellico, della cui efficacia è testimonianza viva il sacrificio cruento, a livello nazionale, di 1280 soci e di oltre 200 assistenti, senza dimenticare il conferimento di parecchie centinaia di medaglie al valore.
Ed è così che nell'estate 1944 Stefano sale in Val Pesio per unirsi alla Brigata omonima, III Divisione Alpi, da tempo operante sul territorio. Dicono che, con il nome di battaglia di "Morris", in più occasioni si distingua per il suo coraggio e la sua audacia, per il sangue freddo e lo sprezzo del pericolo in numerose imprese di guerriglia, per la sua abnegazione nella lotta, come a dire: cambiano le situazioni, muta il contesto, ma inalterato resta l'ardimento di un giovane uomo, temprato dall'Azione cattolica ad essere generoso e a mettere le esigenze degli altri prima delle sue. Il 25 aprile 1945, quando già sembra di respirare qualche refolo di libertà e pare ormai irreversibile la completa disfatta nazifascista, Stefano, con il compagno di lotta "Giorgio", scende in bicicletta in pianura: ufficialmente per fare approvvigionamenti, ma soprattutto per consegnare un importante ordine per l'ormai imminente liberazione di Cuneo. Dagli appunti di Giovanni Sanmory veniamo a conoscenza che i due partigiani, "giunti a Margarita, si imbatterono in un gruppo di Granatieri del Raggruppamento Cacciatori degli Appennini che quasi giornalmente effettuavano rastrellamenti. Velocemente tornarono indietro con le loro biciclette e decisero di buttarsi in una "bialera" che scorreva lì vicino e tentare così la fuga, l'impresa riuscì a "Giorgio", mentre Ambroggio inciampò nella bicicletta e perse gli occhiali. Veniva immediatamente bloccato e condotto con loro a Trinità e qui rinchiuso in un'aula del Palazzo delle Scuole dov'erano acquartierati, da un mese, due compagnie di quei militi".
Qui inizia il martirio del povero Stefano, sottoposto a interrogatori, sevizie e torture raffinate, nel tentativo di estorcergli quanto a sua conoscenza sulle strategie della lotta partigiana e soprattutto informazioni sui compagni di lotta. Pur sapendo che soltanto collaborando alle richieste dei suoi torturatori avrebbe qualche possibilità di aver salva la vita, Stefano non si lascia sfuggire neanche una parola. Pesto e dolorante viene rinchiuso con doppio lucchetto in una stanza, dalla quale comunque riesce a comunicare con l'esterno attraverso Maria Perrucca, una ragazza trinitese, alla quale chiede di avvisare il fossanese Rattalino della sua cattura. La ragazza si rivolge al parroco di Trinità, don Bellisio, che come già in altre occasioni, oltre ad assicurare di far pervenire il messaggio al destinatario, si attiva immediatamente attraverso i propri canali per organizzare uno scambio di prigionieri.
(2-continua)