Maria Perrucca, con un ardimento non indifferente, riesce poi a passare a Stefano, attraverso lo spioncino, alcuni frammenti di una pagnotta di pane, con i quali Stefano cerca di calmare i morsi della fame, ma l'operazione è interrotta dall'arrivo dei carcerieri. La sua detenzione e quella di altri prigionieri proseguono fino al 28 aprile, quando inizia ufficialmente la ritirata e gli abitanti di Trinità assistono alla fuga dell'intero fronte militare tedesco in terra ligure e toscana. Proveniente dalla statale di Mondovì, la lunga colonna di carri armati, autoblindo, cannoni di lunga gittata, camion militari stracolmi di soldati si dirige in direzione Salmour, aggregando da ogni località in cui transita le forze militari ivi stanziate. Papà Perrucca approfitta del frastuono e della confusione generale per aprire la porta della prima cella, riuscendo a farne fuoriuscire tutti i detenuti, ad eccezione di Stefano, in isolamento nella seconda cella, chiusa all'esterno da doppio lucchetto. Il suo tentativo di forzare i lucchetti con martello e scalpello è bruscamente interrotto dall'arrivo dei repubblichini della Muti, che prima di accodarsi alla colonna tedesca in fuga pensano bene di portarsi dietro, come trofeo di guerra, il povero partigiano. Martoriato e pestato con particolare ferocia lungo il tragitto dai Cacciatori degli Appennini comandati dal famigerato tenente Rizzo (il cui indice di crudeltà è ben attestato dal fatto che dai suoi stessi uomini è soprannominato "la Bestia"), quando ormai non è più in grado di proseguire il cammino, Stefano viene fucilato sulla strada Loreto-Salmour prima di entrare in Fossano. Sono da poco passate le tre di notte del 29 aprile, cioè poche ore prima che Fossano venga definitivamente liberata dall’occupazione tedesca: Stefano è davvero l’ultimo partigiano ad essere ucciso, per cui don Giorgio Canale può scrivere che "il suo sangue fu come la firma gloriosa al lungo, tormentato capitolo della guerra di Liberazione".
È ancora don Canale a riportare la significativa testimonianza del sacerdote che riesce ad avvicinare Stefano poco prima dell'esecuzione: "La sua serena fortezza, la sua fede non potrò mai più dimenticarla; da quell'incontro ogni giorno io lo prego come si prega chi è morto da santo".
Merita sicuramente una digressione l'ingresso in scena di questo sacerdote, il vincenziano Edgardo Fei di origine senese. Si tratta di uno studioso brillante, laureato in Lettere, che dalla sua cattedra di docente a Piacenza viene improvvisamente sbattuto controvoglia a fare il cappellano militare, incarico per il quale si sente completamente inadatto, anche se risulta essere piuttosto amato dai suoi militari. E che sia anche di un certo spessore spirituale lo dimostra il fatto che tra l'altro è stato per 60 anni confessore, confidente e anche direttore spirituale del padre Gianfranco Chiti di cui è in corso la causa di beatificazione. Padre Fei sfiora la nostra provincia durante la guerra di Liberazione, al seguito dei Cacciatori degli Appennini e il caso (o la Provvidenza) lo vuole sulla strada di Salmour, tra gli uomini del tenente Rizzo con il quale tenta ancora di negoziare lo scambio di prigionieri organizzato dal parroco di Trinità, nella speranza di salvare la vita a Stefano. Dopo il fallimento di ogni intermediazione tocca a lui l'ingrato compito di comunicargli l'imminente fucilazione, ascoltare la sua ultima confessione e impartirgli l'assoluzione. "Sento ancora tutto l'orrore di quel sangue italiano sparso", scrive mesi dopo alle sorelle Ambroggio, "ma ricordo pure la bellezza di quell'anima giovanile che, con tanta fede e serenità cristiana, se ne tornava al Creatore. Non so se dobbiamo compiangerlo o invidiarlo". Appena si fa giorno il padre Fei si presenta in vescovado, a raccontare a mons. Dionisio Borra quanto accaduto nella notte, riferendogli la bella testimonianza del "partigiano di Cristo" e affidandogli anche l'anello ricevuto da Stefano perché venga restituito alle sorelle. Abbandonerà il reparto il giorno successivo, portandosi dietro nella sua lunga vita (è morto a Roma, a 95 anni, nel 2007) il ricordo e il rimpianto di quel ragazzo speciale, fucilato sulla strada di Salmour.
(3-fine)