Quelli che restano in panchina (1ª parte)

Santita 8 Giugno Sito

Il non portare a termine qualcosa lascia sempre l’amaro in bocca, insieme alla spiacevole sensazione di non aver fatto tutto il dovuto per ultimarla. Così, arrivati alla penultima puntata ci troviamo ancora tra mano le foto e le notizie, scarne o incomplete, di alcuni personaggi della nostra terra che avrebbero avuto tutto il diritto di trovare spazio in questa rubrica senza pretese e li vogliamo almeno degnare di una seppur affrettata citazione. Si tratta di alcuni “santi nostrani” che al momento abbiamo lasciato “in panchina”, ma che un giorno, grazie a chi volesse proseguire poi la nostra atipica e incompleta ricerca, potrebbero scendere in campo da protagonisti e testimoni, per dirla con papa Francesco, di una “classe media della santità” che richiede “solamente”, pur in mezzo a fragilità e incoerenze, l’impegno di cercare ogni giorno, tra le vicissitudini della vita familiare, sociale e professionale e persino tra le molestie della vita, di fare la volontà del Signore.

Spicca, al centro del nostro collage, la fluente meravigliosa barba del cappuccino padre Paolino da Fossano (Lorenzo Cirotti - n.1) che già attirava la nostra curiosità tra i quadri dei benefattori esposti per la festa di San Giovenale. Nato a Fossano nel 1810 e fratello della Fondatrice delle Figlie della Divina Provvidenza (all'epoca "Buone Figlie"), di queste è davvero il primo e vero ispiratore. È viva tuttora nell' Istituto la memoria delle frequenti visite del padre Cirotti alle ricoverate: ed alla sorella, cui fu largo ognora di consigli e di aiuti; e la tradizione che ce lo addita ispiratore di tanta opera, è pienamente confermata dalla scritta che si legge in margine al quadro che campeggia tra quelli dei più insigni benefattori: Padre Paolino Cirotti Fossanese - Provinciale Cappuccino - Della Sorella Fondatrice delle Buone Figlie - Animatore e guida». Noi gli siamo debitori della prima biografia del Canonico Craveri (cui molto abbiamo attinto per stenderne il profilo), ma anche di «un altro libro per indirizzo alle giovani aspiranti a vita divota, intitolato Filagia, non che alcune operette per insinuare la pietà». Guardiano nei principali conventi della Provincia francescana nonché ministro provinciale del suo Ordine, a Fossano è esaminatore sinodale, legato da stretta amicizia e collaborazione con il Vescovo Manacorda. Muore nel convento fossanese il 27 novembre 1893 e Manacorda lo piange come consigliere ed amico, presiedendone i funerali e tessendone pubblici elogi.

Meriterebbero forse ancora oggi maggior considerazione Luigi Brunetti (n.2) e Francesco Oggero (n.3). Il primo, uomo davvero dalle mani bucate a favore dei poveri, è all’origine della Piccola Casa della Divina Provvidenza fossanese, che offre ospitalità prima e istruzione poi, alle ragazze povere della Diocesi, cui in precedenza aveva già pensato Francesco Oggero. Per questo l’Opera è stata successivamente battezzata “Oggero-Brunetti”, di cui sicuramente fondatore è il canonico Craveri, ma i principali finanziatori sono i due illustri benefattori. Di essi, oggi, restano i ritratti (bisognosi peraltro di restauro) o poco più, soprattutto da quando le proprietà della soppressa loro Opera sono confluite nella Casa per Anziani Mons. Craveri, che nella sua denominazione ufficiale ha aggiunto il nome dell’Oggero, ma (ci pare) non quello del Brunetti, che pure (secondo la testimonianza dello stesso Craveri) fu il vero ispiratore dell’Ospedale dei Cronici, perché la sua intenzione era di venire in “sollievo delle povere donne croniche ed incurabili” ed a tal fine acquistò (con atto notarile del 18 settembre 1836) la casa della nobildonna Vittoria Maria Tettù di Camburzano, diventata così il primo nucleo di una struttura, ancora oggi indispensabile per il fossanese. Non sarebbe quindi male se venisse ricordato, oltre all’Oggero, anche il Brunetti, nella denominazione dell’Ente, al cui interno i loro ritratti, insieme al Craveri, ben a ragione dovrebbero essere adeguatamente valorizzati.

Abbiamo invece l’impressione di essere arrivati troppo tardi a cercare testimonianze su don Sebastiano Ambrosino (n.4), che Pino Longo dipingeva come «un prete piccolo, magro e semplice, nato e vissuto poverello, era buono, era un uomo di Dio e voleva portare a Dio, attraverso una profonda conversione, tutti quelli che incontrava sulla strada».

(1-continua)