Quelli che restano in panchina (3ª parte)

Santita 8 Giugno Sito

Pur dandosi totalmente per le “masnà” a lei affidate, la maestra Teresina Arese [n.6] (che, per dirla con Beppe Manfredi, possiede «un'anima insieme autenticamente religiosa e finemente didattica») si tuffa con pari slancio nell'apostolato che l'Azione cattolica richiede ai suoi associati e, in particolare, alle sue dirigenti. Spende le sue migliori energie come presidente delle "donne" e dirigente dei "fanciulli", portatrice di una fede granitica e semplice, professata senza rispetto umano in casa, a scuola, nelle adunanze e per strada (come potremmo dimenticare i suoi rosari e i suoi canti, intonati a piena voce, come direbbe San Paolo, «opportune et importune»?), trasformandosi anche in burattinaia e in simpatica macchietta da "vispa Teresa". Dopo 40 anni di insegnamento e una medaglia d'oro dal Ministero, l'aspetta una ben meritata pensione e, in soprappiù, il buon Dio le concede ancora quasi altrettanti anni, da spendere sempre con le amate "masnà", questa volta del Salice, per insegnar loro chi è Dio e come si fa ad amarlo, facendoglielo anche vedere concretamente con il suo esempio di consorella della San Vincenzo, che cerca di casa in casa i suoi poveri, da aiutare con un buono, una borsata di viveri o anche solo una parola che risolleva il morale. Prega per tutti e muore pregando a novembre del 2005, ricca di meriti e di anni, ben 93, tutti spesi per il Signore.

Agnesina Cosio (n.7) era ben viva, dopo quasi 60 anni, nei ricordi di don Domenico Oggero, all'epoca assistente diocesano della Gioventù femminile di Azione cattolica. Nata il 21 gennaio 1934 a Murazzo, qui lascia il buon profumo di una giovinezza tutta donata a Cristo e costantemente ispirata ai tre ideali (casa, chiesa, associazione) che l’Ac le aveva instillato. Dicono fosse una ragazza dalla messa e comunione quotidiane, che non si risparmiasse nei lavori di casa e dei campi e che donasse con gioia tutto il tempo che le restava in opere di apostolato e di carità. Eletta presidente parrocchiale delle Giovani, pur sentendosi inadeguata, si spende generosamente per far crescere nella fede le sue compagne, anche in mezzo a incomprensioni e qualche gelosia. Muore a 25 anni il 13 giugno 1959, all’ospedale di Fossano, in seguito ad un’infezione tetanica per una scalfittura che si era procurata lavorando nei campi. Per il suo funerale si danno appuntamento a Murazzo giovani di tutta la diocesi, che davanti alla sua bara promettono «di imitare l'esempio e la vita della nostra Presidente; di passare come lei a seminare il bene nella famiglia, nella parrocchia e nella società; di portare a tutte le anime il sorriso della bontà, per tutte attirare al Signore».

Dicono che la vita di Maria Mellano (n.8) sia stata tutta un servizio: molto probabilmente è vero e sicuramente così lei la intendeva: dall’Azione Cattolica al Rinnovamento carismatico e al Cif, dall’Acli alla sua amata parrocchia di Sant’Antonio; dalla Democrazia Cristiana al Comune, dove per decenni fu consigliere, assessore e anche per un periodo vicesindaco; dall’impegno nell’allora U.S.S.L. alle carceri, dove fu assistente volontaria, fino al suo impegno di donatrice Avis. E probabilmente qualcosa è stato involontariamente omesso. Dicono anche, poi, che questa donna riuscisse a stare in piedi e con tanto onore nei più svariati e delicati incarichi o ruoli, perché prima sapeva stare in ginocchio. Anzi, non sbagliamo certo nel dire che tutti i vari servizi che rendeva alla società e soprattutto ai più fragili e deboli, traevano origine e motivazione dalla sua prolungata preghiera. Muore il 25 giugno 1993 e da quattro anni a questa parte è ricordata nei giardini di piazza Romanisio, intitolati al suo nome.

L’imprevedibile di Dio nella vita di Maria Ballario (n.9), invece, si esprime in quattro chiamate. Fossanese, nata il 30 marzo 1936, riceve la prima chiamata ad essere infermiera al Santa Croce di Cuneo, dove ai malati dona il meglio di sé. La seconda chiamata la porta a consacrare la sua vita tra le Missionarie diocesane, mentre la terza le fa maturare il desiderio di prendersi cura dei lebbrosi. Parte nel 1970 per il Camerun, dopo un'adeguata specializzazione in Spagna e in Belgio, ma ha appena il tempo di far conoscere il profumo della sua carità che arriva, improvvisa e inaspettata la chiamata alla sofferenza, attraverso un male incurabile, che la fa rientrare in patria, riservandole due interventi chirurgici e tanto tanto dolore. Maria, l'amica dei lebbrosi, che in così poco tempo era riuscita a rubare il loro cuore e il loro affetto, incontra il suo Signore nelle prime ore del 7 luglio 1977.

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