Come ha detto Silvio Crudo, al termine dell'incontro informale ed amichevole su Armida Barelli, lunedì scorso nel cortile del Duomo di Fossano, ci sono state in Italia “figure così tanto straordinarie, salvo poi rischiare di sparire nel tempo e nella memoria”. Se questa memoria, come quella della Barelli, non venisse ora faticosamente ricuperata, grazie ad una serie di iniziative legate alla sua beatificazione, avvenuta il 30 aprile scorso a Milano. Tra queste, la mostra itinerante che fa tappa fino al 13 luglio nella Cattedrale di Fossano. Per poi proseguire in altri luoghi e circostanze, come per esempio in alcuni campi giovani.
Già, i giovani. Perché proporre loro una figura femminile di altri tempi? Qual è stato, e soprattutto, cosa può affascinare del suo messaggio oggi? Un tentativo che Anna Maria Tibaldi (già delegata regionale dell'Ac Piemonte e Valle d'Aosta) ha cercato di trasmettere ai presenti, una trentina di persone, aiutata anche da alcuni testi suggeriti per la lettura dei ragazzi (“Armida Barelli”, edizioni Franco Cosimo Panini, a fumetti) oppure, per una conoscenza approfondita, il volume “La zingara del buon Dio” (edizioni San Paolo, con prefazione di Papa Francesco).
Al di là delle sue molteplici attività e responsabilità ecclesiali, di cui ci si può ampiamente informare, di lei resta una spettacolare figura di donna, appassionata nelle cose in cui credeva, e per cui si è spesa nel dono di sé. Intanto bisogna sempre ricordare che viveva in un altro contesto italiano, a cavallo tra l'800 e il '900: quello che relegava il ruolo della donna come sola sposa e madre, nel suo contesto familiare. Lei la famiglia l'ha avuta, sì (“quando si diplomò disse che sarebbe stata o suora o madre di tanti figli, ma zitella mai!”). Però la sua è stata una famiglia spirituale, che l'ha presa a modello come “sorella maggiore” nella Gioventù Femminile di Azione cattolica, a cui diede vita, promuovendo la dignità delle donne a tutto tondo. Oltre ad altri ruoli intrapresi con entusiasmo, determinazione e “capacità organizzative fuori dal comune”. Per tutti la più famosa è stata quella di aver fatto parte del Comitato promotore dell'Università Cattolica, insieme, tra gli altri, a padre Agostino Gemelli, la cui collaborazione durerà per tutta la vita.
La sua forte formazione culturale, grazie alla provenienza dalla borghesia milanese, non le ha impedito di “frequentare quelle che non avevano il suo stesso sapere” e di avere un cuore grande per tutti. Una donna laica, capace di tenere testa anche a cardinali e papi con dei “no”, se e quando li riteneva necessari. “Ha viaggiato molto in lungo e in largo l'Italia” per promuovere le iniziative che presiedeva, “superando gli stereotipi del tempo che la vedevano da sola”. Per non parlare “di tutti i contatti che manteneva, in un'epoca senza telefoni né internet…”.
La sua vita, di 69 anni (1882-1952) si è spenta nella malattia, accettata ed offerta. Il suo amore al Sacro Cuore di Gesù (da cui il nome dell'Università Cattolica) la spinsero ad una consacrazione privata e ad una spiritualità fatta di preghiera ed azione. Una “spinta a mettersi in gioco sempre, senza aver paura di sporcarsi le mani”, come ha detto la Tibaldi. Che, rivolgendosi a tutti i presenti, soprattutto all'Azione Cattolica, ha augurato “di saper intercettare”, sul suo esempio, “le necessità della cultura popolare”, uscendo quindi ad operare fuori dal proprio ambito di azione.