Francesco Gerbaldo, di Salmour, ha cominciato a lavorare da garzone a 12-13 anni. “Avrei voluto studiare - ci racconta -. Avevo anche superato l’esame di ammissione alla Scuola media. Ma i miei genitori non potevano mantenermi gli studi. E così sono andato da bocia da quello che sarebbe poi diventato mio cognato, a Sant’Antonino di Salmour”. Lì è rimasto per una dozzina d’anni, imparando il mestiere. “Era una falegnameria che si è man mano trasformata in officina per la costruzione e riparazione di macchine agricole. Facevamo i carri, i birocci, quelli per andare al mercato trainati dal cavallo, aggiustavamo i voltafieni, le macchine per tagliare il gra- no e l’erba. Gli attrezzi erano pochi, facevamo tutto a mano. Era un altro mondo. Si andava a lavorare al mattino alle 6 e si tornava a sera, alle 20 o alle 21, anche la domenica, almeno fino a mezzogiorno, per ricavare quel tanto che bastava per poter uscire”.
All’età di 25 anni, nel 1968, il grande salto: la decisione di mettersi in proprio. “Tutti me lo dicevano - afferma -. Me lo aveva consigliato anche il parroco di allora, Don Giovanni Battista Genesio, amico dei miei genitori. Ma io non ero così sicuro. A Salmour c’era poca roba. Contadini poveri con quattro mucche. Avevo paura di morire di fame. Invece è andata bene. Ho costruito un primo capannone di 20 metri, l’ho allungato, poi ne ho costruito un altro. Ho avuto dipendenti. La salute mi ha sorretto fino ad ora e ho trovato persone che mi hanno dato fiducia,
clienti e fornitori”.
Una parte del merito va divisa con la moglie Lucia Grosso, sposata dopo un anno dall’avvio della nuova attività, da cui ha avuto due figlie. Con lei ha condiviso le preoccupazioni, i sacrifici (“dormivamo e mangiavamo nel capannone, il bagno in comune con gli operai”), le scelte, anche il lavoro. Gerbaldo macchine agricole ha sfruttato appieno l’onda della meccanizzazione agricola. “Costruivamo gabbie e sfogliatrici per il granoturco, erpici a dischi, elevatori per il fieno - prosegue -. Li vendevo nelle province di Cuneo, in tutto il Piemonte e in parte della Liguria a privati e rivenditori. Mie macchine sono andate anche in Francia, Romania e Marocco. A quei tempi bisognava soltanto avere roba”.
Oggi, a 80 anni, “tengo aperto perché c’è ancora qualcosa da smaltire - conclude -. Il problema è che lo Stato ti massacra. I capannoni che avevamo costruito al tempo adesso te li fanno pagare cari e salati. E non porti più a casa niente”. Ma non c’è rimpianto nelle sue parole. “Ho fatto un lavoro che mi è piaciuto. E devo ringraziare tutti quelli che mi hanno permesso di compiere questo cammino, a partire dagli operai che hanno lavorato con me. Da soli si fa poco. E non si va lontano”.