“Scrivo da un paese che non esiste più”. È uno dei più celebri “attacchi” nella storia del giornalismo: si deve a Giampaolo Pansa, inviato a Longarone dopo il disastro del Vajont. Chi in questi anni voglia scrivere dei ghiacciai delle Alpi cuneesi potrebbe usare parole simili: oggi questi ghiacciai non esistono più, o stanno per scomparire.
Dopo il distacco del seracco sulla Marmolada, ci siamo chiesti quale sia lo stato di conservazione dei ghiacciai cuneesi. Alcuni di essi, peraltro, godono di una certa fama, innanzitutto per la posizione geografica: il ghiacciaio del Clapier, in valle Gesso, si trova a soli 45 chilometri dal mare, in linea d’aria.
In valle Gesso
“I ghiacciai attuali delle Alpi marittime - spiegano dal Parco naturale delle Alpi marittime, la cui sede è a Valdieri in valle Gesso - sono ben poca cosa rispetto a quelli antichi; tuttavia sono degni di nota perché sono i più meridionali dell’arco alpino. La maggior parte si trova concentrata sul versante italiano del gruppo Clapier-Maledìa-Gelas; il più grande di tutti è il ghiacciaio del Clapier, che è anche quello più meridionale, posto a soli 45 chilometri in linea d’aria da Montecarlo. Nel corso degli ultimi decenni, in seguito al generale ritiro dei ghiacciai, anche quelli delle Alpi marittime si sono fortemente ridotti di dimensioni e sono prossimi alla definitiva scomparsa: il ghiacciaio del Clapier è oggi confinato in quello che un tempo era il suo ramo orientale, mentre i due principali ghiacciai del Gelas emergono ormai a stento dai detriti”.
Sul tema, di recente, è uscito un libro molto bello: “Ultimi ghiacci. Clima e ghiacciai nelle Alpi marittime” il titolo dell’opera che, curata da Luca Mercalli e Daniele Cat Berro, “recuperando i dati meteorologici e le cronache del passato”, in 400 pagine ripercorre “la storia del clima e del territorio locale, con un occhio a un futuro che si annuncia difficile se non sapremo rientrare nei binari dei limiti planetari tramite un’economia più sobria”.
L’allusione è ovviamente al cambiamento climatico. Peraltro, sempre in quel territorio di confine tra Italia e Francia in cui si collocano le Alpi marittime, è stato lanciato il progetto CClimaTT, che è più o meno l’acronimo di “Cambiamenti climatici nel Territorio tran- sfrontaliero”. Fra gli aspetti più interessanti di questa iniziativa, c’è la capacità di mostrare come il cambiamento climatico modifichi quella che per tanti cuneesi è la realtà in cui possono immergersi alla domenica, se scelgono di effettuare un’escursione sulle montagne della Granda: ad esempio, due fotografie (a sinistra) messe a confronto nell’ambito di “CClimaTT” - e già pubblicate anche da “la Fedeltà” sul numero del 19 febbraio del 2020 - permettono di osservare l’arretramento del ghiacciaio del gruppo Gelas-Maledia, risalendo la prima al 1908 e l’altra - scattata da Nanni Villani - al 2019.
Insieme con il libro “Ultimi ghiacci” è nata una mostra, con il medesimo titolo, che si può visitare al Centro informazioni “L. Einaudi” di Entracque. “Gli obiettivi della mostra e del libro - sintetizza ancora Berro, curatore dell’opera - è valorizzare un patrimonio altrimenti disperso su clima e ghiacciai delle Alpi marittime, montagne di cerniera tra continente e Mediterraneo, e sensibilizzare il pubblico sull’urgenza di ridurre l’impatto umano sul clima, nell’ambito del progetto Alcotra CClimaTT”.
Ai piedi del Monviso
Immagini simili - di ghiacciai che si ritirano, di ghiaccio che appare “sporco” per i detriti che cadono su di esso - s’incontrano ai piedi del Monviso. Nella foto a sinistra, si può osservare quanto resta del ghiacciaio del Triangolo sotto la cima del “Re di pietra”, così come appariva la scorsa domenica a chi saliva verso il passo di Vallanta dopo aver lasciato il rifugio omonimo. A un’altitudine inferiore lungo lo stesso versante, c’è il ghiacciaio di Vallanta, che sembra sporco come dicevamo: i detriti macchiano infatti il sottile strato di ghiaccio che tenta di resistere.
Lo scorso anno, ad agosto ci portammo sui versanti dell’Aiguille de Chambeyron dove si estendevano ampi ghiacciai, in territorio francese ma non lontano dal confine con la valle Maira. Ben poco, anche in questo caso, è ciò che resta. Lo stupore è ancora più forte se si mette a confronto quanto si osserva oggi con le dimensioni che a questi ghiacciai attribuiscono le cartine di non molti decenni fa: il ritiro è stato enorme.
Monitoraggio continuo
Qualcosa, per salvare i ghiacciai superstiti e monitorare ciò che succede nelle “terre alte” per effetto del cambiamenti climatico, intanto si cerca di fare. Di recente, la sezione torinese del Cai, il Museo nazionale della montagna “Duca degli Abruzzi”, l’Istituto di ricerca per la Protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle Ricerche e l’Arpa Piemonte hanno sottoscritto, su invito della Regione, una convenzione con cui si impegnano a “mettere a fattor comune le loro competenze, conoscenze, studi, ricerche e attività fin qui effettuate per migliorare la tutela ambientale” attraverso il monitoraggio degli ambienti alpini “in quota”.
Servizio completo su "la Fedeltà" in edicola, dov'è possibile leggere le interviste ad Andrea Parodi, autore di fortunate guide dedicate alle montagne della Granda, e Jessica Chicco, geologa fossanese.