Mercoledì 17 agosto 52 giovani - provenienti dalle diocesi di Fossano, Cuneo e Mondovì - hanno raggiunto a piedi la celebre abbazia di Montecassino, dopo aver percorso circa 170 km. Il cammino era iniziato da Orvinio mercoledì 10 agosto. L’itinerario - tracciato e condotto da don Paolino (Cuneo), don Pucci, don Giordy e don Buet (Mondovì) - ha solcato l’appennino laziale con i suoi caratteristici borghi, i suoi sentieri montuosi e luoghi affascinanti carichi di storia e spiritualità, sulle orme di san Benedetto.
I molti passi non sono solo stati orientati verso sud, ma hanno rappresentato per ciascuno e per il gruppo intero un intenso viaggio nella profondità del proprio vissuto di fede, diventando occasione profonda di crescita e ponte per nuove amicizie. Cammino e vita sono andati via via confondendosi, forse perché il primo offre parole per raccontare la complessità della seconda: la vita infatti “è un viaggio da fare a piedi”.
Decidere di iniziare il cammino è stato anzitutto accettare di farsi pellegrini, mettersi in discussione, cioè tracciare una strada passo dopo passo verso una meta sperata e sognata, accogliendo ciò che il percorso via via offrirà. In quel lungo tragitto tra la partenza e il traguardo succede presto di accorgersi di tutto ciò di cui si ha necessità per vivere: la motivazione per camminare, uno zaino con le poche cose che contano e qualcuno che cammina con te.
I primi passi (spesso bagnati dalla pioggia) sono stati proprio segnati dalla domanda: che cosa ci faccio qui? Per che cosa sono in cammino? Cercare una motivazione è stato il modo per tutti di fare i conti con sé e con ciò che oggi abita il cuore e la testa, mettendo mano alla propria vita. Fare questo ha comportato la fatica e la gioia di tirare le fila, simile alla fatica dei passi e alla gioia di aver raggiunto la tappa e lì di trovare un luogo accogliente (una palestra, una scuola, un monastero o un convento) e un pasto preparato con cura.
In questo intreccio di fatica e gioia hanno iniziato a diventare essenziali le poche cose che si avevano nello zaino: un po' d’acqua da condividere, qualche abito pulito, una stuoietta su cui riposare per poi ripartire, la fede con cui si abita tutto questo. Riflettendo e lasciandosi sorprendere da ciò che stava accadendo ci si è scoperti preceduti da una Parola capace di illuminare le piaghe dei piedi, le zone d’ombra della propria vita, ma anche i desideri più profondi e i gesti di cura e generosità vicendevole che hanno iniziato via via a tessersi.
Attraverso quella Parola è stato poi facile provare a riorientare lo sguardo e cogliere in maniera sorprendentemente nuova la presenza di Dio, attraverso gli occhi e le mani di chi camminava con noi: i cuochi e Spugna che, come sentinelle silenziose e generose, ci hanno preceduti e seguiti e - scontato dirlo - ogni pellegrino per l’altro. Non c’è motivazione, non c’è progetto di fare qualcosa di buono, se prima non c’è qualcuno che con atti di cura sprona a partire per quella meta e durante non smette di accompagnare. Si cresce sempre e solo grazie ad atti di cura di altri, incontrati quasi per caso e poi scelti ogni giorno, ad ogni passo.
Con questa consapevolezza la crescente fatica nelle gambe è stata accompagnata da un altrettanto crescente entusiasmo: canti, balli, feste di paese, racconti di vita condivisi e intense celebrazioni eucaristiche hanno spinto il gruppo verso la meta sognata, desiderata e attesa così tanto, che – una volta arrivati - quasi sembrava di conoscerla già, quasi sembrava di essere a casa, proprio perché abitata da volti che da sconosciuti e lontani erano diventati ben presto famiglia.
Il viaggio di rientro in pullman è stato il modo per lasciar sedimentare tutto questo, consapevoli sì che a ciascuno spetta il proprio cammino di vita una volta rientrati in provincia, ma che insieme è più facile o quantomeno più promettente.
a.c.