La lunga estate di Mattia a Capo Verde

Il giovane fossanese ha partecipato insieme a un gruppo di giovani di Biella al “Campo missionario dei frati cappuccini del Piemonte”, guidato da fra Flavio Pina

Capoverde Viaggio Missionario Dossetto Mattia
Da sinistra fra Flavio Pina e Mattia Dossetto

Mattia Dossetto, 24 anni, secondo di tre fratelli, vive a Fossano in Borgo Sant'Antonio con la sua famiglia. Prendendosi una pausa dal lavoro (nel campo della ristorazione) ha deciso di spendere tre mesi estivi (da giugno a fine agosto) nell'arcipelago di Capo Verde per conoscere e visitare quei luoghi, ospite in alcune famiglie con cui ha fatto amicizia durante i suoi spostamenti. Oltreché nel convento dei frati francescani a Mindelo, dove ha collaborato alle attività svolte nel campo missionario guidato da padre Flavio Pina. Un viaggio che sognava da tempo, che lo ha riempito di entusiasmo e che consiglierebbe ad altri giovani, invitandoli ad “uscire dall'Italia il prima possibile, non per fuggire, ma per stupirsi ed imparare che ci sono scenari e tanti modi diversi di stare al mondo”.

Qual è stata la motivazione principale che ti ha portato a Capo Verde?
Sognavo da almeno cinque anni un viaggio in Africa, soprattutto quella continentale, da sempre affascinato dalla sua cultura. Quello nelle isole capoverdiane si è realizzato perché un giorno, passeggiando dalle parti della stazione di Fossano, ho notato l'insegna “Centro missionario frati cappuccini Capo Verde”. Ho bussato e ho incontrato padre Flavio, capoverdiano, che mi ha fatto subito un'ottima impressione. Inoltre, conoscevo già un genere musicale di quel paese (la morna, un mix tra il fado portoghese dei colonizzatori e il blues del Mali e del Senegal), a cui, suonando la chitarra, ero molto interessato. Sono andato per fare il volontario e ogni giorno svolgevo i lavori proposti dai frati. Ho fatto veramente di tutto: dal giardiniere alla manutenzione, dal cuoco all'animatore di bambini...

Che ruolo ha avuto padre Flavio in questo viaggio?
Padre Flavio mi ha incoraggiato a intraprendere il viaggio e mi ha offerto una grande possibilità di scelta: stare con i frati a prestare servizio, oppure ospite a casa della sua famiglia, nell'isola di Fogo, soprattutto inizialmente, per integrarmi e imparare la lingua. E così ho fatto: mi sono davvero sentito a casa mia! Da loro ho imparato cosa significa accoglienza.

In che senso?
Sono calorosissimi. Anche i frati, quando sono stato loro ospite a Mindelo, sono stati fantastici! Laggiù non ti senti mai solo. Essendo un popolo che cura molto le relazioni sociali sei obbligato a interagire ed è facile imparare la lingua locale (il creolo).

Come si svolgeva una giornata tipica ospite dei frati?
C'erano momenti di preghiera e riflessione. Poi ogni giorno svolgevo attività diverse, principalmente nei centri estivi gestiti dai frati, con bambini fantastici che alle spalle non hanno una famiglia e hanno tanto bisogno di affetto.

Prima di partire avevi delle aspettative particolari?
Purtroppo sì.

Perché “purtroppo”?
Perché le aspettative possono rovinare la “magia” del viaggio. E poi in quella terra lì è difficile organizzare qualcosa. Vuoi per la difficoltà negli spostamenti o perché tutto è in ritardo (lo dice ridendo, ndr). In Italia se hai un appuntamento, per esempio dal dentista, sai quando entri e quando esci. Lì non succede mai. Però se delle aspettative sono andate all'aria, sono arrivati anche imprevisti positivi. Per esempio, nell'isola, stupenda, di Sant'Antao (tra rocce desertiche e foresta pluviale), decido di fare un giro in una vallata poco turistica per ammirare una cascata, ma mi trovo perso e un po' spaventato tra banane e ragni. All’improvviso, al rumore di tamburi, sopraggiunge una comitiva di ragazzi che sta andando alla cascata e che mi invitano ad unirmi a loro. È stata una giornata bellissima: abbiamo pranzato insieme e fraternizzato pur non essendoci mai incontrati prima.

Hai quindi potuto visitare diversi luoghi...
Sì, ma da viaggiatore, non da turista. Ho cercato, fin da subito, di fare le cose che facevano loro, e come le facevano loro. Non ho mai preteso, ad esempio, di mangiare nei locali per turisti, o di avere un mio mezzo di trasporto, ma mi muovevo, come è consuetudine, sui carri collettivi (camioncini con banchine, che partono solo quando si sono riempiti, per questo non è possibile programmare un'ora di partenza e di arrivo!). All'inizio era molto frustrante non poter programmare nulla di preciso. Un modo di pensare che ho dovuto abbandonare durante la mia permanenza.

Nelle città hai visto povertà o violenza?
Mindelo, nell'isola di Sao Vicente, è una città veramente bella, artistica, con un mare bellissimo e locali che propongono musica dal vivo di ottimo livello. Poi c’è la capitale Praia, più complessa e pericolosa. Qui si vedono i segni della violenza. Per le conseguenze dell'alcolismo, della disperazione, del disagio sociale, delle disparità che si creano tra i molto ricchi e i molto poveri. C'è gente che vive in baracche di lamiera, senza un letto e un materasso, in strada. La povertà però ha più facce: ho incontrato la povertà che ti imbruttisce dentro e che non ti scrolli più di dosso, ma anche la povertà che ti insegna tanti valori, quelli che il benessere non è in grado di trasmettere. Ho aiutato i contadini nell'isola di Fogo, poverissimi a causa della terra arida, tanto che non hanno neanche cibo per i maiali. Ciò nonostante, per me hanno ammazzato e cucinato un gallo. Cioè mi hanno offerto la cosa più preziosa che avevano.

Credi di aver dato anche tu qualcosa a loro?
Sicuramente ho ricevuto più di quel che ho dato. Non bisogna partire con l'idea di andare là per aiutare. Perché è presuntuosa, distruttiva, ed ha portato conseguenze negative. Prima bisogna capire come funzionano le cose, poi ci può essere uno scambio e un arricchimento reciproco.

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