Due premi alla carriera per Mariano

Il poeta del Monviso incoronato a Imperia e a Pisa, al concorso cui partecipò con i suoi primi versi

Due premi alla carriera, che testimoniano una vita dedicata alla poesia. Beppe Mariano - originario di Savigliano, classe 1938 - ha ricevuto nello stesso giorno (lo scorso 29 ottobre) il “Città di Pisa” e il “Parasio - Città di Imperia”. “Sto vivendo una di quelle coincidenze astrologiche che tanto piacevano a Borges - ha raccontato prima della premiazione -. Non potendo ancora duplicarmi, ma l’Intelligenza artificiale ci sta lavorando, andrò a Imperia a ricevere il premio da un carissimo amico e maestro, il grande poeta internazionale Giuseppe Conte. Tuttavia Pisa è il mio ombelico letterario. Proprio in quella città ho iniziato quasi sessant’anni fa: con le prime poesie inedite vinsi lo stesso premio che oggi mi onora, ed è come se tutto ciò rappresentasse eccezionalmente la chiusura di un percorso esistenziale nel segno della poesia. Per me, un privilegio”.

Ripercorriamo, allora, questa carriera. Quali sono stati gli autori più importanti per lei?
I classici dapprima, greci e latini, e le tre corone, Dante Petrarca e Boccaccio. Anche la fantasia ariostesca mi ha conquistato. Poi mi sono soffermato sui classici moderni in modo di poter proseguire nella loro orma: da Leopardi a Pascoli, da Baudelaire ai simbolisti, a Brecht, da Ungaretti a Gozzano e Pavese e tantissimi altri italiani e stranieri. Il percorso normale, insomma, per chi intende scrivere poesia.

Se gli autori sono stati importanti, non lo sono meno i luoghi. Lei è per antonomasia il poeta del Monviso. Perché nei suoi versi la montagna è così presente?
È noto che la montagna  con il suo elevarsi ci richiami ad una salita verso l’ideale. Il salire a una cima può corrispondere  alla fatica-redenzione di un percorso morale. Per me, inoltre, il Monviso rappresenta con il suo magnifico frontale la raffigurazione di mia madre che ho perso a sette anni, proprio, con ferente sarcasmo, nei giorni della Liberazione e della fine della guerra. Per cui la mia poesia ha in sé anche una componente psicanalitica.

Stefano Verdino la definisce “poeta e narratore” e la accosta a quella “vena piemontese di poesia non lirica, attratta dal racconto” di cui sono testimoni Gozzano a Pavese. Perché sceglie il verso per “raccontare”?
Verdino, che mi ha conferito due anni fa insieme a Conte, Bacigalupo, Napoli e Cohen  uno dei maggiori premi internazionali, il “Lerici Pea”, mi  ha definito poeta e narratore riferendosi soprattutto alla recente “La guerra di Annina e i camminanti”. Si tratta però di un prosimetro, cioè di una storia che alterna prosa  e versificazione; racconta una delle mie “storie” del Monviso e poi va oltre immaginando un futuro non molto lontano. In questi ultimi anni, anche se la mia poesia si è fortemente rinnovata, conserva pur sempre una traccia narrativa. Del resto uno dei miei maestri, Sebastiano Vassalli con cui fondammo insieme, con Bàrberi Squarotti, la rivista “Pianura”, credeva che le “storie” fossero l’anima delle genti e delle letterature.

Leggere Mariano significa (anche) “capire” che cosa il poeta sta dicendo. Non è così per molta poesia contemporanea: lei crede che oggi, dopo esperienze del Novecento come la Neoavanguardia, ci sia bisogno di una poesia più “comunicativa” e che i versi abbiano bisogno di una maggiore riconoscibilità formale, cioè di essere più simili a quelli che abbiamo studiato a scuola , per ritrovare un pubblico? A proposito... Il problema della poesia attuale è noto: il numero di lettori è nettamente inferiore a quello degli aspiranti poeti. Come crede che evolverà la poesia?
È una domanda che meriterebbe una lunga risposta. Mi limiterò a dire che mi sono formato negli anni della Neoavanguardia e lo testimonia la complessità della mia poesia sperimentale (ho svolto anche attività di poesia visiva) degli “Scenari” degli anni Settanta e Ottanta, raccolti ne “Il seme di un pensiero”. Poi il mio discorso ha cercato d’incontrare il lettore di poesia sia perché non m’interessava la sperimentazione fine a se stessa, sia perché il lettore diventa con la sua lettura partecipe come fosse un interprete aggiuntivo. Io sono in fondo un poeta civile, per cui credo che la poesia evolverà con lo sviluppo (che può anche essere involutivo) della nostra storia e della nostra lingua (che ha in sé più tendenze linguistiche: anche quella purtroppo degli americanismi di riporto, che personalmente posso accettare solo in un contesto ironico).