Eric Noffke è professore di Nuovo Testamento alla Facoltà valdese di Teologia di Roma (nonché pastore) con una formazione accademica a Roma, Heidelberg, Princeton e Basilea. È autore di diversi volumi legati soprattutto al suo ambito di ricerca, oltre a ricoprire diversi incarichi speciali in istituzioni che promuovono aspetti culturali della Bibbia (tra cui l'Associazione Biblica Italiana). Ma, soprattutto, è un credente sempre disponibile al confronto e al dialogo, che sa mettere in atto con semplicità, obiettività, pacatezza e solarità.
Intervenuto a Fossano nell'aprile scorso, per un incontro sulla sinodalità organizzato dallo Studio Teologico Interdiocesano, sarà ancora ospite il prossimo 9 marzo a Cuneo, nell'ambito del ciclo di appuntamenti dedicati alla memoria di monsignor Aldo Giordano. Lo abbiamo interpellato in occasione della Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, che si svolge fino al 25 gennaio.
Il professor Andrea Riccardi, nella sua lectio magistralis alla Facoltà Teologica pugliese, ha dichiarato che “in questo tempo bisogna forse moltiplicare l'audacia dei soggetti ecclesiali che prendano l'iniziativa di una via ecumenica, favorendo la rinascita della passione per l'incontro... Chiese locali, singoli, realtà ecclesiali... tutti dobbiamo tornare a sentire lo scandalo della divisione e la necessità di lavorare per unire”. Ascoltando queste affermazioni viene da pensare che in questi decenni di riavvicinamento tra le chiese, il dialogo non sia ancora sufficientemente decollato. Che forse anche le iniziative più nobili abbiano ancora sempre un connotato ufficiale, ma non siano capaci di coinvolgere la sensibilità di base dei fedeli e suscitare nuovo entusiasmo. E così?
Sì e no. Il dialogo ecumenico procede da sempre tra alti e bassi. Ci sono stagioni d’incontro e di forte attivismo, altri di risacca, in cui il dialogo si intiepidisce. È da poco, infatti, che si assiste ad un riaccendersi della voglia di stare insieme e di conoscersi tra credenti di diverse confessioni. Il problema forse maggiore è che le nuove generazioni sono difficili da coinvolgere, e quindi agli incontri ecumenici l’età media rimane troppo sovente piuttosto alta. Forse il tempo di profonda crisi che stiamo vivendo ci aiuterà a capire che solo uniti i cristiani possono dare un contributo positivo, per la costruzione di un’Europa e di un mondo più giusti. Ma non sarà facile; il cristianesimo occidentale non ha più le energie giovanili che ha avuto in altri momenti critici del passato e da troppi non è considerato come un vero attore del necessario cambiamento.
A proposito di nuove generazioni, quale interesse suscita ancora in loro la conoscenza delle differenze cristiane? C'è motivazione ad approfondirle nel mondo accademico?
È difficile rispondere a questa domanda, perché sono pochi i giovani che si interessano alle questioni religiose in generale. Nella mia esperienza ho visto un atteggiamento molto polarizzato tra chi - magari essendo cresciuto in una coppia interconfessionale - non capisce bene il senso delle differenze e le trova solo un retaggio del passato, magari anche scomodo, e chi invece usa proprio le differenze tra confessioni cristiane per definire in negativo la propria identità. Nel mondo accademico mi pare che si cerchi di capire in che modo si possa lavorare insieme tra accademici di varie confessioni, cercando di usare le rispettive differenze come un valore da portare, piuttosto che come un impedimento alla collaborazione. Nella maggior parte dei casi, comunque, direi che tra questi ultimi c’è di fatto una piena comunione.
Quanto sono consapevoli le chiese locali - evangeliche, cattoliche ed ortodosse - di muoversi in un contesto di sfide globali che (dovrebbe) spingere i fedeli ad una maggiore collaborazione ecumenica fraterna e all'attualizzazione di esempi concreti di aiuto reciproco?
Se si tratta di questioni pratiche, collaborare non è quasi mai un problema. Lo si fa a diversi livelli, dai singoli territori ai programmi nazionali, come i corridoi umanitari, organizzati dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e da Sant’Egidio. Nel mio lavoro di pastore, mi è capitato sovente di avere in prestito una chiesa cattolica, ad esempio, per celebrare un funerale. Credo che quando si tratta di unire le risorse per aiutarci a vicenda o per assistere qualcuno, si riesce a vivere una piena fraternità. È a livello politico che, talvolta, ci può essere una diversità proprio nell’identificazione delle sfide, che è necessario affrontare insieme.
Mentre nel mondo si vanno sviluppando sempre più nuove opportunità per pregare, collaborare e riflettere insieme su questioni teologiche, dal suo punto di osservazione ci sono differenze sostanziali tra le iniziative di livello nazionale e quelle locali?
Quando si lavora tra colleghi pastori di diverse confessioni, è certamente più facile. Ci uniscono gli studi, le esperienze molto simili che viviamo ogni giorno, il fatto di avere uno sguardo più ampio sulle questioni ecumeniche, che, se non perde certo di vista le difficoltà, le sa comunque mettere in un orizzonte più ampio e positivo. A livello di base, invece, sovente è più facile sottolineare le differenze, i problemi, piuttosto che quanto ci unisce come cristiani. A rendere tiepida, se non proprio fredda, la partecipazione dei nostri membri di chiesa alle iniziative ecumeniche, sono normalmente più questioni di tipo sociale o politico che questioni teologiche: quella frustrazione di fronte a certe situazioni percepite come derivanti da privilegi e discriminanti, come l’ora di religione cattolica a scuola o i tentativi di pressione sullo Stato in questioni etiche scottanti.
In un tempo segnato dalla pandemia e dal conseguente uso tecnologico - informatico, quali strategie virtuali dovrebbero o potrebbero essere sfruttate di più, per stabilire ancora nuovi collegamenti di conoscenza tra i cristiani?
Ammetto di non essere un grande fan degli incontri virtuali e dei social. In certi casi sono molto pratici, è vero. Ma l’ecumenismo si costruisce conoscendosi, e questo rende gli incontri personali imprescindibili. L’unità e la comunione vivono dell’amicizia, del rispetto reciproco, della condivisione delle esperienze. Dalla scoperta, passo dopo passo, del fatto che le differenze tra noi sono una ricchezza, e che siamo molto più simili di quanto si pensi. Perfino la discussione dei rispettivi punti di vista aiuta nella crescita dei credenti: capire le ragioni dell’altro, anche quando sono molto distanti dalle nostre, favorisce il superamento di conflitti e pregiudizi, per vivere insieme l’unità a cui Cristo ci chiama e che in Lui si fonda.