Sono passati 23 anni dalla pubblicazione della legge con cui veniva istituito il “Giorno della memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti” e oggi sentiamo che è ora di fare il punto della situazione.
Quando la legge fu istituita era urgente trovare nuovi modi per costruire la memoria di una storia che sentivamo scivolare tra le dita. Era chiaro che stavamo entrando in quella fase che lo storico delle idee David Bidussa definiva “Dopo l’ultimo testimone” e in molti si chiedevano non solo come salvare i ricordi e il vissuto di quella generazione che aveva esperito la guerra e la deportazione in prima persona, ma anche come trasmettere quell’esperienza fondamentale per la società europea quando non ci sarebbe più stato nessuno a raccontarla.
L’istituzione del Giorno della memoria, pur con tutti i limiti che ogni “giorno simbolico” ha e di cui siamo ben consapevoli, è servita innanzitutto a questo: costringerci a trovare nuove vie di costruzione della memoria, per farci entrare in modo attivo in una Storia ancora vicina a noi e trovare chiavi di lettura utili per la costruzione del nostro futuro.
Per lavoro sono stata coinvolta fin dalle prime fasi e in questi anni ho visto cambiare le domande, i temi, le esigenze del pubblico e le modalità. Ho visto moltiplicarsi gli eventi e i progetti, che spesso hanno dato esiti felici. È innegabile, talvolta ha prevalso la spettacolarizzazione e in alcuni casi sono stati fatti errori clamorosi, come d’altronde succede in qualsiasi altro ambito dello studio, della ricerca e dell’educazione, ma questo non ci dà il diritto di parlare di fallimento, sarebbe profondamente ingiusto.
Abbiamo imparato molto dai film, dalla narrativa, dalla musica e dal teatro, che si sono adoperati per rielaborare il racconto dolente di quel lutto ereditato e pesante da portare. L’interesse crescente verso il tema e lo sviluppo di una particolare sensibilità hanno permesso di raccogliere molte testimonianze che forse sarebbero cadute nell’oblio ed è incredibile che la storia di Liliana Segre, divenuta ormai un’icona pop, abbia raggiunto un numero così straordinario di persone. Mi sento di dire che senza il Giorno della memoria, forse tutto questo non sarebbe avvenuto.
Oggi si percepisce stanchezza, ma d’altronde era prevedibile, perché ci sono stati anni in cui siamo stati sovraesposti, il Giorno della memoria durava un mese e la tv ci martellava quotidianamente con documentari e film spesso di qualità scadente. La mia agenda era piena all’inverosimile, con corse tra scuole e teatri e sentivo che, con il tempo, tutti avremmo avuto la necessità di rallentare.
Non sono tra i pessimisti che vedono in questa stanchezza generale un brutto segno, anzi, credo che fare un passo indietro serva proprio a riprendere le giuste proporzioni, per tenere la sostanza e lasciare da parte quel che in fondo alla memoria non serve affatto.
In effetti abbiamo imparato a smorzare i toni e a limitare la retorica e forse proprio per questo il Giorno della memoria fa meno rumore, ma sono certa che continui a fare un ottimo lavoro. Abbiamo perso gli slogan e le frasi a effetto, ma sento che soprattutto nei giovani sono rimaste le domande sui temi fondamentali che emergono dallo studio di quella storia: il significato di diverso, la discriminazione, i pericoli di un regime, la creazione del consenso di massa, la capacità di resistere e di creare percorsi di resilienza, il dovere di dare un nome e un volto alle vittime per restituire loro la dignità, il senso forte della tutela della vita e il coraggio di chi seppe scegliere tra il bene e il male e salvò altri esseri umani.
Mi sento di dire che il Giorno della memoria ci ha dato modo di indagare alcune pieghe della storia che mai sarebbero state indagate altrimenti e di questo dobbiamo essere grati.
Anche le nostre città hanno trovato nuovi modi per raccontare quella storia, riscoprendo i luoghi della vita ebraica, dando rilievo alle lapidi, ponendo le pietre d’inciampo.
Ora è giusto rallentare, dobbiamo macinare e assimilare per bene tutto quello che in questi anni ci ha letteralmente travolti. La memoria è un processo lungo e non ha bisogno di frasi a effetto o di euforia, ma di sedimentazione e di tanta pazienza.
E soprattutto fidiamoci delle nuove generazioni, che sono cresciute insieme a noi in questi anni e insieme a noi hanno ascoltato, letto, si sono arrabbiati, commossi, hanno imparato e spesso si sono stufati, come è giusto che sia, ma sono certa che i semi che sono stati piantati continueranno a germogliare e poco per volta saremo pronti per nuovi contenuti e nuove modalità.
Maria Teresa Milano