La neve artificiale non ci salverà

L'appello-denuncia di Legambiente: "Precipitazioni scarse e caldo, ripensare il turismo invernale"

Una strada asfaltata in valle Stura, che d'inverno, in presenza di neve, viene usata per escursione con le ciaspole

La neve, anche sulle Alpi e sugli Appennini, è più rara. E sostituirla con quella artificiale per “salvare” lo sci non è una buona idea, sia sul piano della sostenibilità ambientale che su quello economico. Questa - in estrema sintesi - la posizione di Legambiente, che nei giorni scorsi a Torino ha presentato il report “Nevediversa 2023. Il turismo invernale nell’era della crisi climatica”.
Spiegano dall’associazione: “In Italia, complice la crisi climatica, è «sos neve». Una neve sempre più rara - visto che su Alpi e Appennini a causa dell’aumento delle temperature nevica sempre di meno con impatti negativi anche sul turismo invernale e sulla stagione sciistica - e una neve sempre più costosa, dato che, per compensare la mancanza di quella naturale, l’Italia punta sull’innevamento artificiale, una pratica non sostenibile e alquanto cara, sperperando anche soldi pubblici”.

I numeri della crisi
Legambiente vuole che a parlare siano i numeri. Secondo le stime più recenti di cui si dispone, l’Italia è tra i Paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale: il 90% di piste da sci sarebbero appunto innevate in modo artificiale, mentre la percentuale è del 70 per l’Austria, del 50 per la Svizzera, del 39 per la Francia e del 25 per la Germania. Legambiente ha mappato i bacini idrici a cui si attinge per la produzione di neve artificiale da destinare ai comprensori sciistici: sono 142 per una superficie totale di circa 1.037.377 metri quadrati, e il Piemonte è una delle regioni in cui la presenza è più marcata.
Per il 2023, risultano inoltre in aumento sia il numero degli “impianti dismessi”, 249, sia quello degli impianti “temporaneamente chiusi”, 138; Legambiente denuncia inoltre come siano 181 quelli sottoposti ad “accanimento terapeutico”, ovvero che hanno bisogno di forti iniezioni di denaro pubblico per sopravvivere alla crisi del settore.

Tema sostenibilità
Per Legambiente, “il sistema di innevamento artificiale non è una pratica sostenibile e di adattamento, dato che comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo in territori di grande pregio”.
Non è tutto: “L’innevamento artificiale richiede sempre maggiori investimenti per nuove tecnologie ed enormi oneri a carico della pubblica amministrazione”. E, intanto, “il costo della produzione di neve artificiale sta lievitando, passando dai 2 euro circa a metro cubo del 2021-2022 ai 3-7 euro al metro cubo nella stagione 2022-2023”.
Per Legambiente, le conclusioni sono ovvie: occorre “pensare ad un nuovo modello di turismo invernale montano ecosostenibile, partendo da una diversificazione delle attività”. “Ce lo impone la crisi climatica che avanza e che sta avendo anche pesanti impatti sull’ambiente montano - dichiarano dall’associazione -. Di fronte a ciò l’Italia non può più restare miope, né può pensare di poter inseguire la neve”.

Uno sci di élite
Nel suo report dedicato alla neve, Legambiente ricorda che il 2022 è stato l’anno più caldo e secco da oltre due secoli per l’Italia e che i maggiori incrementi di temperatura si registrano sull’arco alpino. Scarso innevamento e temperature elevate non creano disagi soltanto agli appassionati di sci che devono rinunciare al week-end “in quota”, ma anche a competizioni sportive che spesso subiscono dei tagli proprio per l’impraticabilità delle piste.
“La neve artificiale, che negli anni Ottanta era a integrazione di quella naturale, ora costituisce il presupposto indispensabile per una stagione sciistica, a tal punto che i comprensori per sopravvivere richiedono sempre nuove infrastrutture - commenta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi per Legambiente -. Non si considera però che se le temperature aumenteranno oltre una certa soglia, l’innevamento non sarà più praticabile se non in spazi molto ristretti di alta quota, in luoghi dove i costi già elevati della neve e della pratica sportiva subiranno incrementi consistenti, tanto da permettere l’accessibilità dello sci alpino unicamente ad una ridotta élite, così come accadeva nel passato”.
È, insomma, la fine di un’epoca, che, sottolinea ancora Bonardo, “deve essere accompagnata da un nuovo modo ecosostenibile di ripensare il turismo insieme ad un nuovo approccio culturale”: “Per questo è fondamentale sostenere le buone pratiche che si stanno sviluppando nelle nostre montagne”.

Viva le ciaspole
Quali buone pratiche? Sempre nel suo dossier, Legambiente cita “buone idee da copiare”. Si tratta di proposte turistiche che permettono ai visitatori di godersi la montagna senza impatti negativi sull’ambiente e, anzi, offrendo, l’occasione di scoprire piatti e tradizioni locali. Agli impianti sciistici sono quindi da preferire le escursioni con le ciaspole; ovviamente, quando le condizioni naturali lo consentono, non viene meno la possibilità di dedicarsi allo scialpinismo e all’arrampicata su cascate di ghiaccio.

Nel Cuneese
Per Legambiente, modelli positivi per la fruizione (invernale e non solo) della montagna sono presenti anche in provincia di Cuneo. C’è Pian Muné nel territorio di Paesana e, soprattutto, c’è la valle Maira, che l’associazione loda anche per il suo “no” (peraltro molto dibattuto) alla circolazione di mezzi a motore lungo le strade bianche.
Per contro, la Granda porta con sé i resti - davvero ingombranti - di un passato in cui si scommetteva, con tanti investimenti e tanto cemento, sul turismo invernale. Sogni che sono svaniti, a mano a mano che la “bianca visitatrice” ha cominciato a rendere le sue visite più rade, e che, dicevamo, hanno lasciato dietro sé enormi strutture ora inutilizzate. Ne è un esempio - e lo cita anche Legambiente - la “Porta della neve” di Viola Saint Grée, complesso che doveva costituire un villaggio turistico e che oggi viene inevitabilmente citato come “ecomostro”.
C’è un progetto di recupero: incrociamo le dita.