“Delta” – “Armageddon time il tempo dell’Apocalisse”

Delta

DELTA
di Michele Vannucci; con Alessandro Borghi, Luigi Lo Cascio, Emilia Scarpati Fanetti, Denis Fasolo, Italia, 2022, durata 105 minuti. 

Il Delta del Po come il Danubio, ma potrebbe anche essere il Mississipi. Una storia di pescatori e di bracconieri o forse, e di più, una storia di persone giunte al limite, individui che a diverso titolo scontano una solitudine esistenziale terribile che si traduce fatalmente in dramma. 
Elia è un giovane uomo che sempre ha vissuto ai bordi della società. È nato nel Polesine ma poi si è trasferito sul Danubio in Romania a fare il bracconiere, e lì si è rifatto una vita o qualcosa che gli somiglia. Ha trovato degli sbandati come lui e si è sentito a casa, lui che una casa forse non l’aveva mai avuta. Poi però la situazione si è fatta difficile, con la polizia rumena alle calcagna il bracconaggio non era più possibile ed Elia e il suo gruppo si sono trasferiti sulle rive di un altro fiume, il Po, senza però cambiare vita, anche sulle rive del grande fiume italiano Elia vive di bracconaggio. Ma in Italia la situazione è diversa, c’è più controllo delle autorità, c’è più sensibilità ambientale. Ci sono Osso e il suo gruppo di guardie volontarie che difendono il fiume e la sua fauna. E fatalmente il mondo di Elia e quello di Osso entreranno in conflitto, senza esclusione di colpi. 
L’aria brumosa del fiume, le golene, il fango, con il verde scuro e il marrone colori dominanti, con qualche raro squarcio di rosa dei fenicotteri. Ed è così anche la storia, dura, selvaggia, scura, come il fiume che insieme a Elia e Osso è il terzo protagonista. Un thriller “ambientalista” con venature western, un po’ di country malinconico in sottofondo non avrebbe guastato. Da vedere. 

Armageddon Time

ARMAGEDDON TIME IL TEMPO DELL’APOCALISSE
di James Gray; con Anne Hathaway, Anthony Hopkins, Jeremy Strong, Banks Repeta, Jaylin Webb, Brasile, Usa, 2022, durata 114 minuti. 

Un titolo forte - evocare l’Apocalisse non è cosa da poco - per una pellicola che però non ha la forza delle cose che promette. Regista amato sin dai tempi lontani di “Little Odessa” (1994), James Gray è autore in grado di portare in scena storie potenti e intense, che toccano in profondità e “Armageddon time” non fa eccezione. Il racconto è bello, la storia, dal forte sapore autobiografico, è importante, ma è il come, è la messa in scena che è fa acqua. 
Siamo a New York, primi Anni ’80, a Queens il quartiere più multietnico della città. Paul e Johnny sono due piccoli amici nonostante la diversa estrazione sociale. Paul è bianco, ebreo, Johnny è nero. Paul è un ribelle e uno studente insofferente alle regole, Johnny è un simpatico mascalzone ripetente. I due non possono che diventare amici. Ma poi i genitori di Paul decidono di allontanare il figlio da quell’ambiente e di iscrivere il ragazzo ad una scuola prestigiosa, frequentata solo da bianchi. Paul non capisce e soprattutto non vorrebbe andare nella nuova scuola ma deve sbattere la faccia contro l’ottusa severità dei genitori con l’unico, flebile appoggio del nonno Aaron (un superlativo Anthony Hopkins) che gli ricorderà come non molti anni prima anche gli ebrei dovessero fare i conti con i pregiudizi (o peggio) con i quali doveva confrontarsi il suo piccolo amico Johnny…
Così come recentemente Sorrentino, Spielberg, e Branagh anche James Gray torna alla sua infanzia/adolescenza e a quelle situazioni che hanno segnato il suo passaggio all’età adulta, ma il suo raccontare per quanto intenso e sincero nel cosa sembra bloccato e quasi strozzato nel come, l’empatia con il piccolo Paul non sboccia e tutto rimane in superficie, come se Gray avesse in qualche modo paura di tornare davvero alle radici della sua adolescenza.