Due ore davanti al plotone di esecuzione

Ugo Re, partigiano di 97 anni, domani parteciperà alla Festa della Liberazione a Lequio Tanaro, suo paese di origine

Chi volesse fare un romanzo storico della sua vita avrebbe tanto materiale da scrivere un capolavoro. Un capolavoro con due peculiarità: quella di ripercorrere un momento decisivo per la recente storia italiana e quella di aver per protagonista un uomo che tuttora può raccontare con la sua stessa voce i fatti narrati. Il partigiano Ugo Re, di Lequio Tanaro, è nato il 7 novembre del 1925: anche per la prossima festa della Liberazione, è atteso nel piccolo Comune affacciato sulle Langhe, dove giungerà lasciando per un po’ di tempo la residenza per anziani di Carmagnola in cui è ospite.

Nel 1943 Re, 17enne, si trova a Spalato, impiegato nelle Ferrovie. “L’8 settembre me lo sono visto là - racconta -. Ci han lasciati andare come figli di nessuno, per tre mesi. Si mangiava quello che si trovava, credevamo sarebbe arrivata una nave per riportarci in Italia”. Una nave arriva per davvero, ma quando riparte viene colpita dall’artiglieria dei titini che sparano dalla spiaggia: molti soldati perdono la vita. Re non è con loro, perché i posti disponibili erano pochi: lui salirà a bordo di un piroscafo. Anche in questo caso, il viaggio è terribile: all’altezza di Zara, l’imbarcazione viene bombardata. Da Pola si continua in treno, verso casa.

“A 18 anni fui chiamato per essere arruolato nella Repubblica di Salò: non mi presentai e andai in montagna a fare il partigiano”, ricorda Re. Inizia così l’avventura nelle fila della Resistenza: “Una vita brutta: eravamo sbandati, si dormiva nelle stalle, si mangiava quello che si trovava”.

Re è catturato durante un rastrellamento dei nazifascisti a Lumellogno nel Novarese. Alcuni dei suoi compagni non vengono trovati perché sono nascosti in parte sotto il letame e in parte nel forno del pane: lui, invece, è in un fienile e quando il forcone del soldato che sposta il fieno alla ricerca di partigiani nascosti lo raggiunge allo stomaco, è costretto a dire “Sono qui”. Re finisce al muro, davanti al plotone di esecuzione. Trascorrono due ore, dalle 11 all’una, in attesa della fine: “I tedeschi ci dicevano: «Se parlate, non vi fuciliamo». I fascisti: «Se ci pagate bene, non vi facciamo soffrire»”. Re non parla e contribuisce così a salvare dal rastrellamento 15 compagni ancora nascosti, che non verranno trovati; poi i nazifascisti lo portano in prigione a Novara. Mentre lasciano con i prigionieri Lumellogno, i militari tedeschi e della Rsi sparano dei colpi in aria: si diffonde così la voce che i partigiani catturati siano stati uccisi. Vengono a saperlo anche le loro famiglie: oggi Re ricorda come, ancora vivo, fu oggetto di funzioni funebri nel suo paese, per tre giorni, finché, grazie a un compaesano, l’equivoco non fu chiarito.

In prigione, in ogni caso, la morte sfiora Re un’altra volta. Quattordici prigionieri vengono infatti prelevati e fucilati lungo la strada per rappresaglia.

Re viene poi destinato al campo di concentramento di Bolzano (“Il mio numero era 10.048”) e di qui a un castello, a Stava in val di Fiemme, che era divenuta la dimora di un maggiore tedesco: lui deve occuparsi di “mettere a posto dei mobili”.

All’arrivo degli inglesi, i tedeschi ripiegano: Re può finalmente mettersi in viaggio per tornare a casa. Cinque dì e cinque notti di cammino gli consentono di raggiungere Sondrio: il resto del percorso verso il proprio paese, Re lo fa in treno.

La guerra è finita: non è finito, ovviamente, il ricordo di quell’esperienza. Re partecipa a “Portobello”, il programma televisivo condotto da Enzo Tortora, per ritrovare un amico con cui, dopo il rastrellamento a Lumellogno, si era trovato al muro e, per questo, rende noto il suo numero di telefono. Purtroppo, non mancano reazioni di odio, simili a quelle cui ci hanno abituato, in anni recenti, i social media: “Uno mi telefonò e mi disse che se non volevo essere fucilato, dovevo starmene a casa - spiega Re -. Dissi a Tortora: «Non vengo più in trasmissione; di fascisti, ce n’è più di prima»”. Per fortuna, il dopoguerra del partigiano lequiese annovera anche altri episodi, ben diversi: durante una visita alle Fosse ardeatine con i compaesani di Lequio Tanaro, Re incontra il presidente della Repubblica Sandro Pertini, che gli stringe la mano e lo elogia e premia per il coraggio con cui, mantenendo il silenzio, evitò che i nazifascisti catturassero i suoi compagni.

“Quando vado ai monumenti ai Caduti, a coloro che ci rappresentano chiedo sempre di aver rispetto per i malati, i pensionati e i poveri, di aiutare i giovani a farsi una famiglia, di voler bene alla patria”, conclude Re. Un invito che potrà ripetere il prossimo 25 aprile. Lequio Tanaro è pronto ad accogliere il suo partigiano, un’altra volta.