Ottant’anni dall’8 settembre 1943, settantotto dal 25 aprile del 1945. Gli anni aumentano, i testimoni sono sempre meno, ma l’esigenza di ricordare la nostra storia è forte e fondamentale. Capire cosa celebriamo il 25 aprile, perché i valori vanno ricordati e rinvigoriti sempre: ne abbiamo parlato con il direttore dell’Istituto storico della resistenza di Cuneo, Gigi Garelli.
Cosa significa celebrare il 25 aprile nel 2023?
Quest’anno è l’80° anniversario del ‘43, l’anno di inizio della Resistenza. È l’occasione per ricordare che la Resistenza fu una scelta. Qualcuno oggi dice che fu di opportunismo, di camaleontismo. Ricordare quegli anni con in mano i documenti significa invece ricordare che quella scelta fu preparata da anni di scelte precedenti, testimoniate dagli elenchi di esuli, confinati, incarcerati. E non solo i Gobetti, i Rosselli, i Gramsci, gli intellettuali. In quegli elenchi di centinaia di persone presenti nel casellario speciale ci sono muratori, imbianchini, gente semplice… Tutte persone che pagarono molto duramente la loro posizione, i loro pensieri. E che poi confluirono nelle file della Resistenza. I fascisti processati nei tribunali straordinari si appellarono sempre a una questione di obbedienza (“Ci è stato ordinato di bruciare, di uccidere…”) frutto di vent’anni di “credere, obbedire, combattere”. Nei discorsi dei partigiani, invece, non si trova mai neanche un riferimento all’obbedienza: tutti dicono “abbiamo scelto”. Quindi è importante ricordare il valore della scelta, soprattutto nei confronti dei giovani.
Come si fa memoria ora che sono trascorsi decenni?
Oggi sentiamo dire che Resistenza e Antifascismo sono temi divisivi. Ma non dovrebbe essere così e nei nostri territori per anni sono stati valori condivisi da tutti. Faccio due esempi: l’8 febbraio 1952 viene scarcerato Tommaso Brachetti, uno dei responsabili dell’uccisione di Duccio Galimberti. Tutto il Consiglio comunale, tutto, indignato, fa fondere una targa (che c’è ancora oggi) “a Duccio, 8 febbraio 1952” e minaccia un corteo pubblico in via Roma per protestare contro questa scarcerazione. Secondo episodio: quando alla vigilia del ventennale della Liberazione, era il 14 aprile 1964, il Consiglio provinciale decide di dare vita all’Istituto storico della Resistenza mettendoci locali, denaro, e personale, aderiscono a questa proposta le sette sorelle, ma anche oltre un centinaio di comuni più piccoli, con Giunte di tutti i colori e di tutti i partiti, segno che veramente era un tema molto sentito, partecipato e tutt’altro che divisivo. Per cui credo che questo 25 aprile possa servire, facendo riferimento al passato, per suggerire strade e prospettive per l’oggi, recuperare il patrimonio comune dei valori della Resistenza e dell’Antifascismo che sono confluiti nella nostra Costituzione.
Le nuove generazioni faticano ad avere testimonianze dirette, qual è la via perché si sentano coinvolte?
Penso che in realtà la memoria di quello che è accaduto sia ancora presente. Noi lavoriamo con molte classi delle medie e delle superiori e quando vengono in visita a me capita di chiedere se hanno avuto un bisnonno, un prozio che ha vissuto in qualche modo la Resistenza… e più di uno alza la mano. Quindi è un patrimonio che in molte famiglie è presente a va valorizzato. Si tratta di raccontare la Resistenza facendo riferimento alle vicende “quotidiane” di persone che sono passate da macellaio, avvocato, maestro, muratore... alla vita in montagna per difendere questi valori che sono universali. Avvicinarli. Abbiamo una lettera magnifica di Giacomo, partigiano di 19 anni, che scrisse ai suoi amici raccontando la sua scelta di partire, per impegnarsi. Leggere quella lettera ritengo sia un ottimo modo di mantenere vivo il valore della resistenza.
Il presidente Mattarella sarà in Granda il prossimo 25 aprile. Che valore ha questa visita?
Mattarella sarà a Cuneo, Borgo San Dalmazzo e Boves. Tre luoghi cuneesi che sono simbolici. A Cuneo il 26 luglio del 1943, ben prima dell’8 settembre, quando Mussolini era stato deposto e l’Italia diceva “la guerra continua a fianco dell’alleato germanico”, Duccio Galimberti dal balcone affacciato sulla piazza invece dice: “La guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano”. Cuneo ha davvero una primogenitura: quel discorso è una chiamata alle armi perché la Resistenza possa cominciare.
Borgo San Dalmazzo, invece, aiuta a riflettere su altri due grandi temi: è vero che lo sterminio degli ebrei si compì ad Auschwitz, a Mauthausen e negli altri Lager, ma con la complicità di territori che consentirono che i treni arrivassero là e ci arrivassero carichi di persone. Il 21 novembre 1943, quando 329 ebrei in fuga dalla Francia, rinchiusi da due mesi nel campo di concentramento allestito poco lontano, furono caricati sui vagoni, io non credo che il capostazione di Borgo abbia detto alla moglie “vado a far uccidere 300 persone”. Avrà detto “io vado a far partire i treni”. E così hanno fatto tutti gli altri, nelle fermate di Boves, Mondovì, Nizza. Tutta “brava gente”, ma tutti complici. Borgo serve a raccontare che l’olocausto non è lontano nel tempo e nello spazio. Ci ricorda anche, però, che degli 800 ebrei arrivati dalla Francia solo 350 sono stati mandati in campi di concentramento: tutti gli altri sono stati nascosti, da gente normale, semplice che ha saputo quale scelta fare, ha avuto il coraggio di farla, e ha protetto donne, uomini e bambini anche per 20 mesi.
Boves aiuta ad affrontare il tema delle stragi e del terrorismo. Fu il teatro della prima strage compiuta in Italia dai nazisti con 24 civili trucidati e 350 case date alle fiamme, pochi giorni dopo l’8 settembre. E poi una successiva nuova rappresaglia con oltre 50 morti. La città è l’emblema di un potere che si fondava sul terrore e sulla paura e voleva scardinare il legame che c’era tra i partigiani e la popolazione civile. Quindi, è molto importante e significativo che Mattarella, il Presidente di tutti gli italiani, l’autorità che rappresenta l’unità del Paese venga a visitare questi tre luoghi che rappresentano tasselli di un mosaico di messaggi e valori che ci rappresentano e che sono alla base della nostra Costituzione.
Cosa pensa di sindaci o organizzatori di eventi che impediscono l’esecuzione di canti partigiani?
È possibile che possano non conoscere la Resistenza. Chi pensa che tutti i partigiani fossero uguali sbaglia. Noi avevamo, tanto per fare un esempio, i cattolici in valle Pesio, i comunisti in val Varaita, avevamo un arco completo di posizioni… Chi accomuna tutti vuol dire che non conosce le storie della nostra Resistenza. E poi ci sono gli squali e i lestofanti, che usano la Resistenza come randello politico, strumentalizzandolo a proprio piacimento. Quel che è certo è che queste posizioni non favoriscono la convivenza civile che si sostiene aiutando i giovani a capire, a divulgare in modo corretto i valori della nostra Costituzione. Aiutare la Resistenza vuol dire strappare questi eventi dalla retorica e guidare le persone a capire, anche con la Giornata della memoria, il Giorno del ricordo, il 25 aprile: ricorrenze che se celebrate con appuntamenti retorici e vuoti non servono a molto. Ma se ben studiati aiutano a ragionare, seminare, capire. Allora sì, fanno bene al Paese.