Domenica 11 giugno alla Bocciofila Autonomi si è svolto un pranzo organizzato nell’ambito della mostra di fotografia R-Women, dedicata alle donne Iraniane. Si è trattato di un pranzo che ha avuto molti significati. Seduti accanto gli uni agli altri, mentre i giornali riportavano le notizie di droni iraniani impiegati dai Russi nel conflitto in Ucraina, c’erano persone iraniane e ucraine a dimostrazione che la guerra la fanno gli stati, mente le persone fanno comunità.
La mostra, che è organizzata dall’associazione Sapori Reclusi in collaborazione, tra gli altri, con la nostra testata nell’ambito dei festeggiamenti per il 125° anniversario dalla sua fondazione, è visitabile in via Vescovado 8 ancora oggi, sabato, e domani, domenica con orario 16,30-19,30.
Il pranzo per noi è stato l’occasione di incontrare Azam Bahrami, attivista per i diritti delle donne e dell’ambiente esule da quasi 10 anni in Italia. Azam ora vive a Torino e ha un compagno e un bimbo, Caspian, di poco più di un anno, ma continua la sua lotta per i diritti degli iraniani, soprattutto delle donne, anche a distanza.
Partiamo dall’Italia. Sei qui da quasi 10 anni, di cosa ti occupi?
Lavoro in una azienda nel campo dell’energia e faccio molte attività per i diritti delle donne e dell’ambiente. Collaboro con media iraniani che hanno sede all’estero e con gruppi internazionali per difendere i diritti delle donne e dell’ambiente.
E in Iran? Cosa facevi, perché sei dovuta venire in Italia e cosa ti ha spinta proprio qui?
In Italia non mi ha spinta niente. Io non ci volevo venire. Ho studiato fisica dell’ambiente e dell’energia rinnovabile in Iran e insegnavo fisica e matematica, ho lavorato in un laboratorio, ma poi, siccome mi scrivevo anche articoli e organizzavo workshop per i giovani sono stata giudicata come attivista e per questo perseguitata. Per convincermi a desistere dalle mie battaglie mi hanno arrestata più volte, mi hanno tolto il passaporto e il diritto a lavorare, a proseguire l’università dopo la laurea triennale. In carcere ci sono stata diverse volte e ho sempre resistito perché non volevo abbandonare l’Iran, ma all’ultimo arresto mi hanno definita pericolo pubblico per l’Iran e mi hanno minacciata di mandarmi in esilio se non avessi smesso le attività politiche. I miei genitori mi hanno convinta ad andarmene. Sono partita clandestinamente perché mi avevano tolto il passaporto: 18 ore a piedi per passare il confine con la Turchia dove sono entrata con documenti falsi. Anche in Turchia, dove sono rimasta per circa un anno, sono stata arrestata perché ero clandestina. Ho quindi affrontato un viaggio via mare che mi ha portato sulle coste della Calabria dove ho fatto richiesta di asilo. Il Trattato di Dublino prevede che si possa chiedere asilo nel primo Paese democratico in cui si arriva e quindi ho dovuto fare le pratiche qui, ma qui non conoscevo nessuno, non avevo motivi per venire in Italia.
Una volta avuti i documenti cosa hai fatto?
Quando ero in Calabria ho subito iniziato a raccogliere i documenti che mi servivano mentre ero in un campo per stranieri. Ho fatto subito l’iscrizione all’Università di Torino e quindi mi sono trasferita qui dove ora è la mia vita. Mi sono laureata alla magistrale in fisica dell’ambiente e poi ho preso una laurea magistrale in Management.
Rispetto a quando sei partita tu sentiamo più parlare di Iran, di donne in Iran soprattutto. È perché la situazione è diversa o ci sono altre ragioni?
La situazione è la stessa a quanto mi riferiscono le persone che sono in Iran. Noi abbiamo avuto in eredità questa discriminazione e questa violenza di generazione in generazione. Era così prima di me ed è così oggi. Le persone da sempre vengono arrestate per aver parlato, scritto, detto qualsiasi cosa. Le strategie sono sempre le stesse: incarcerazioni anche senza bisogno di avere un capo di imputazione, le persone, soprattutto le donne, minacciate di essere mandate lontano dalla famiglia, vengono tolti il diritto al lavoro e allo studio e quindi a mantenere la propria famiglia, tutti sistemi per mettere pressione e convincere le persone a tacere. Quando sono arrivata a Torino ho conosciuto persone che erano in Italia da molto tempo prima di me e avevano vissuto le stesse cose che ho vissuto io e ora ci arrivano dall’Iran le stesse notizie. In Iran mancano i diritti civili, soprattutto per le donne, c’è una grande discriminazione nei confronti delle tante minoranze come i Kurdi, i Sunniti che spesso non parlano nemmeno il persiano e vengono incarcerate e private di ogni possibilità di comunicare. Quello che sta cambiando è che l’Iran di oggi è una popolazione molto giovane. La maggioranza delle persone ha meno di quarant’anni. Hanno visto sui loro genitori quello che fa questo governo islamico e non lo vogliono per i loro figli. Inoltre la tecnologia ha fatto sì che certe cose si sapessero di più. Siamo ormai in tanti fuori dall’Iran e parliamo e scriviamo e la comunità internazionale non può più essere indifferente.
Abbiamo sentito parlare di Primavera Araba, di Onda Verde. Come avvengono le proteste in questo momento?
La protesta è entrata nel comportamento comune. Per fare un esempio le donne vengono multate anche se si tolgono il velo per guidare all’interno della loro macchina, ma lo fanno lo stesso. Vanno in bicicletta, prendono l’autobus e la metropolitana vestite come vogliono. La popolazione non ha più niente da perdere e quindi la protesta è nei comportamenti comuni.
Hai parlato di carcere, di torture. Qual è la situazione per chi è incarcerato?
Le torture sono sia dirette che indirette. Ad esempio ci sono torture psicologiche perché minacciano di allontanarci dalla famiglia, non fanno parlare i nostri avvocati durante le udienze, obbligano le donne a spogliarsi in pubblico con la scusa di controllare se hanno qualcosa addosso, ma non in uno spazio riservato, ma davanti a tutti. Poi ci sono telecamere dappertutto anche nei bagni e nelle docce anche se non è legale.
Ci sono molte violenze, ovviamente, ma anche indirette. Ad esempio, un prigioniero politico, una persona arrestata per aver manifestato dissenso, non dovrebbe essere incarcerata insieme a criminali comuni e invece è così. È successo che fossero incarcerati insieme ad assassini e ladri anche dei minorenni e che ci siano state delle violenze e chi si è opposto è stato picchiato dai detenuti stessi. È una tortura indiretta.
Molti non ce la fanno. Oggi per me è un giorno triste perché ci è arrivata la notizia che Sepide Farhan che era stata scarcerata appena un paio di mesi fa si è tolta la vita. Non tutti resistono al carcere iraniano.
Io sono stata fortunata, se così si può dire, perché sono sciita e di famiglia benestante, ma ci sono donne arrestate e mandate a chilometri da casa, che non parlano persiano, non sanno leggere né scrivere e non viene loro consentito di parlare con la famiglia o gli avvocati o avere un interprete. Mi torna in mente la vicenda di Zeinab Jalalian che è rimasta cieca da un occhio mentre era in carcere. Quando è stata arrestata non parlava persiano e la sua famiglia era lontanissima. Ha perso ogni diritto che poteva ancora avere.
C’è una grande differenza tra quello che racconta il regime e quello che ci viene raccontato dagli esuli. La repubblica islamica ha un controllo sulla comunicazione che supera i confini dell’Iran. Che ruolo ha la comunità internazionale nella situazione iraniana?
La repubblica islamica dispone di moltissimo denaro e per questo controlla la comunicazione interna e non solo. Innanzitutto bisogna pensare che l’Iran è il 2° Paese al mondo per incarcerazione di giornalisti. Sono state arrestate in pochi anni più di 30mila persone che hanno semplicemente manifestato dissenso. Inoltre vengono pagati anche giornalisti all’estero. Ce ne sono anche di Italiani che sono state ricompensate con case e denaro… Per questi giornalisti sono state coniate due definizioni: vengono chiamati coloro che
Il Governo costruisce una vetrina per far vedere che ci sono i diritti, ma non è così. La propaganda parla di diritti e cultura. Dice che basta rispettare le regole per vivere bene e invece ci sono avvocatesse, giornalisti, insegnanti e studenti in carcere. Non solo gli attivisti che fanno delle proteste, basta che ci sia il sospetto di un pensiero dissidente. Una donna ha studiato all'estero e poi è tornata perché voleva vivere in Iran. Quando è arrivata è stata arrestata e accusata di spionaggio perché aveva avuto rapporti con degli stranieri.