E poi…

C’è un “prima”, c’è un “durante”... ma spesso manca un “poi” che sia una diretta conseguenza dei primi due e che tragga un insegnamento da ciò che è stato, una direzione, un cambio di rotta in modo serio. Poco più di un mese fa l’alluvione in Emilia Romagna, la grande partecipazione ad un dolore che non è e non deve essere solo delle popolazioni direttamente coinvolte della tragedia. Fin da subito la macchina dei soccorsi che si mette in moto, con l’arrivo da ogni parte d’Italia di volontari e di aiuti. La gestione dell’emergenza - va detto - funziona, e in questo senso siamo riusciti a migliorare, ad imparare e saperci attivare in caso di bisogno. Ma ora che la fase acuta è terminata e che i riflettori dei media si spengono, c’è il rischio di lasciare sole certe realtà, di dimenticarsi. Di voltare pagina senza aver imparato la lezione. Succede sempre così, o quasi. Con le catastrofi naturali, terremoti, grandi disastri. È successo in parte con la pandemia, dove la voglia di un ritorno alla normalità ci ha quasi fatto dimenticare ciò che è stato e quali sono state le carenze strutturali nel pieno dell’emergenza. E succede anche, per altri versi, quando nel nostro territorio dopo due o tre settimane di pioggia, fortunatamente senza grossi danni, ci dimentichiamo di un problema strutturale che gli esperti ci dicono sarà sempre più marcato. Abbiamo bisogno di “promemoria”. Prima di sbattere la faccia di fronte ai problemi. Abbiamo bisogno di lavorare con una visione del “poi”, per non dover ricominciare sempre da capo. O peggio.