Aveva una “vita nominale” di cinquant’anni il viadotto La Reale di Fossano: ne ha vissuti poco meno della metà, apparentemente senza problemi, prima di crollare su se stesso nel primo pomeriggio del 18 aprile 2017. Eppure, sostiene il consulente della Procura, in teoria sarebbe dovuto arrivare al mezzo secolo “anche senza manutenzione straordinaria”. Cosa è successo, allora? Lo ha spiegato martedì mattina 11 luglio, in tre ore di interrogatorio, l’ingegner Luca Giordano, docente del Politecnico di Torino e perito dell’accusa nel processo che vede alla sbarra dodici imputati, tra dirigenti e operai delle aziende costruttrici e funzionari dell’Anas.
Il punto dolente, sostiene, è l’iniezione della boiacca sui cavi di precompressione: un lavoro che non fu eseguito “a regola d’arte”, con la conseguenza che la parte dei cavi rimasta scoperta iniziò a corrodersi sempre di più, fino a cedere. È tutto lì, in buona sostanza: “I materiali corrispondevano agli standard, il calcestruzzo e gli acciai erano addirittura di qualità superiore”, afferma l’ingegnere. Inverosimile che qualcuno abbia “tirato a risparmiare”: “Risparmiare boiacca non porta a un risparmio utile, ha un costo trascurabile”. La corrosione, secondo il consulente, sarebbe avvenuta a causa dell’ingresso dell’acqua dai tubi di sfiato: l’acqua che cadeva sull’impalcato, in sostanza, finiva sui cavi senza trovare nulla in mezzo.
Nella prossima udienza, il 17 ottobre, il giudice ascolterà altri due consulenti delle parti.
Articolo completo su "la Fedeltà" di mercoledì 12 luglio