Come anticipato nel nostro articolo, il cinquantesimo anniversario dalla fondazione della prima Casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII nel riminese da parte di don Oreste Benzi è stata l'occasione per raccontare la vita percorsa da Paolo Ramonda e Tiziana Mariani nella prima struttura del Piemonte.
Che significato ha avuto per voi offrire ai vostri figli una famiglia così condivisa? Ogni genitore fa delle scelte educative. Noi abbiamo aperto la nostra famiglia all’accoglienza di persone svantaggiate e lo abbiamo ritenuto un valore anche per i nostri figli. Il fatto che oggi le nostre figlie, pur non facendo parte della Comunità Papa Giovanni XXIII, abbiano famiglie numerose, ognuna di loro ha cinque figli, mi fa pensare che abbiano respirato il senso dell’impegno e dell’apertura. Credo che quella che hanno vissuto sia stata un’esperienza umana arricchente e molto impegnativa. Credo sia importante far fare esperienze inclusive ed accoglienti e non mantenersi sul piano di rapporti esclusivi.
Una famiglia grande è una famiglia in cui regna tanto amore. Ci sono momenti particolarmente significativi di questi anni? Sembrerà retorico, ma in realtà ricordo con affetto ogni giorno che ho trascorso. Mia moglie e io siamo profondamente grati per questa vita che sperimentiamo e che fortunatamente la salute ci consente di continuare a vivere. La ricchezza di condividere un percorso con chi fa più fatica è enorme. Con onestà dico che è molto di più quello che riceviamo ogni giorno di quello che diamo. Ci sono persone che magari non riescono a parlare o deambulare, ma esprimono la semplicità evangelica di cui parlava Gesù.
Quella di un cammino di apertura è anche un percorso faticoso. Quanto è importante il fatto di appartenere a una rete come quella della Papa Giovanni XXIII? La rete è fondamentale. Qualche tempo fa ho scritto un libro in cui parlo anche della mia esperienza in Casa Famiglia e il titolo è proprio “La condivisione salverà il mondo”. In una casa famiglia come la nostra c’è proprio il mondo: ci sono profughi, ex detenuti, ragazze schiave salvate dalla tratta, persone con disabilità, ragazze madri. Noi vogliamo costruire relazioni ed essere presenti gli uni per gli altri. La rete è importantissima proprio perché è una rete di famiglie, ma non solo: ci sono i giovani che fanno servizio civile, ci sono le presenze in terre di missioni, le cooperative che danno lavoro e quindi dignità alle persone in difficoltà, le comunità terapeutiche, le case di preghiera…
Non è però importante solo la rete interna alla Comunità Papa Giovanni XXIII, ma anche quella esterna, con il territorio che ci circonda. Cerchiamo anche di creare un buon rapporto con le istituzioni. Noi non lavoriamo mai contro, ma per il bene comune, a volte con una voce critica, ma sempre costruttiva.
Ci ha parlato di persone con disabilità anche molto gravi, immagino ci voglia anche una preparazione per affrontare nel modo giusto tutte le attività che la disabilità comporta, come sostenere le persone negli inserimenti lavorativi etc…? Come affrontate dal lato pratico la gestione di una famiglia grande e complessa come la vostra? Ci sono momenti di formazioni interne permanenti sia a livello teorico che pratico. Inoltre anche in questo caso la rete è importante perché offre un costante confronto e sostegno reciproco. La nostra comunità inoltre è aperta alle relazioni con le istituzionii come i tribunali, i servizi sociali e lavoriamo perché i servizi territoriali possano lavorare al meglio. In questo modo possiamo usufruire della competenza del territorio. Dobbiamo sottolineare che in Italia abbiamo un sistema di welfare che funziona e che è importante non smantellare. Ho girato il mondo, la Comunità è presente in 40 Paesi, e posso testimoniare che altrove la situazione è molto diversa, il nostro sistema è impagabile. Dobbiamo ricordarci che i nostri figli possono andare a scuola, essere curati se sono malati, andare in vacanza. Anche Papa Francesco quando è arrivato in Italia ha constatato quanto oblativo e altruista sia il nostro Paese.
Quando si pensa alla parola affido si pensa a qualcosa che è temporaneo. Significa che ci sono dei distacchi. Come si affronta la perdita di un figlio, che sia perché adottato o magari venuto a mancare? Negli anni ci sono state diverse persone che ci hanno lasciati. Ma anche una famiglia normale può trovarsi ad affrontare la perdita di un figlio, oppure ci sono figli che abbandonano la casa familiare. Certamente per quanto ci riguarda questa possibilità è accentuata per il fatto che ci sono persone più fragili. Credo che la solidarietà, la vicinanza e l’affetto che regna sia all’interno della Comunità Papa Giovanni XXIII, sia nei rapporti con il territorio ci aiutino anche ad affrontare la sofferenza. Inoltre siamo consapevoli che siamo pellegrini sulla terra. Dobbiamo fare del nostro meglio per vivere al meglio ma abbiamo fiducia che dove andremo dopo sarà a stare meglio, che abbiamo una meta a cui arrivare e dobbiamo essere aperti al progetto di Dio, che è sempre un percorso di bene.
Il nostro fondatore, Don Oreste Benzi diceva che “non c’è nessuno di più impegnato su questa terra di chi ha lo sguardo rivolto a Dio”. La speranza è il nostro punto di forza, lo sguardo rivolto a Dio.
Come è costituita la Comunità Papa Giovanni XXIII nel mondo oggi? In Italia ci sono circa 200 case famiglie, ma complessivamente siamo presenti in 40 Paesi nel mondo tra cooperative, case di preghiera, case famiglia e varie attività che stiamo aprendo come poliambulatori e scuole per persone con disabilità. Nel nostro Paese possiamo dire di essere presenti quasi in ogni diocesi. Nel Cuneese come nel Riminese e in Veneto abbiamo la maggiore presenza.
La festa di Farigliano è stata dedicata alle Case Famiglia e alle Famiglie aperte, ci spiega la differenza? La famiglia aperta è costituita da un nucleo centrale all’interno del quale vengono accolti uno o due bambini temporaneamente che poi fanno ritorno nella famiglia di origine. In una casa famiglia invece ci sono due genitori che si dedicano a tempo pieno a tanti figli con competenza professionale.
Paolo Ramonda all’interno della Comunità Papa Giovanni XXIII è stato anche eletto responsabile generale della Comunità alla morte di don Benzi. Ha ricoperto questo incarico per tre mandati consecutivi fino a maggio del 2023 quando gli è subentrato Matteo Fadda. Laureato in Scienze Religiose e in Pedagogia ha pubblicato Direzione Gesù, I cinque talenti degli sposi e La condivisione salverà il mondo – Dall’eredità di don Benzi la via per un futuro sostenibile. Tutti e tre i volumi sono editi da Sempre editore.