È stato a Lampedusa una settimana all’inizio di maggio, e poi di nuovo quest’estate ad agosto, spinto dal desiderio di crescita personale prima ancora che professionale.
Parliamo di Sandro Bergese, genolese, da vent’anni infermiere: attualmente nel 118 dell’area di Cuneo, e, come volontario, nella struttura della maxi emergenza, per cui, quando ci sono missioni in luoghi speciali, viene chiamato tra quelli che offrono la propria disponibilità.
Un percorso di lavoro umanitario, di cui lui stesso si stupisce, che lo ha portato più volte a vivere esperienze significative in posti difficili e particolari. L’ultima sull’isola di Lampedusa dove ha prestato servizio nell’hotspot di accoglienza dei migranti.
“Vorrei sfatare la falsa convinzione secondo cui questa gente arriva qui solo perché non sa cosa fare. Sono persone che affrontano i campi di concentramento in Libia e magari hanno attraversato il deserto aggrappati a camion su cui vengono caricati come animali, forse picchiati e derubati lungo la strada, navigando per un centinaio di miglia su un guscio di noce che ogni onda minaccia di capovolgere. Se affrontano tutto questo è perché là da dove sono partiti stavano peggio. E che rimanervi significava morire al 100% - racconta Bergese -. Non chiedono altro che essere salvati da una drammatica situazione di viaggio, di cui sono consapevoli fin dall’inizio, ma di fronte a cui non hanno alternative”.
Intervista su la Fedeltà di mercoledì 25 ottobre