“IO, NOI E GABER”
di Riccardo Milani; documentario. Con la partecipazione di Sandro Luporini, Claudio Bisio, Ivano Fossati, Dalia Gaberscick, Ricky Gianco, Gino & Michele, Paolo Iannacci, Lorenzo Jovanotti, Mario Capanna, Mogol, Vincenzo Mollica, Gianni Morandi, Massimiliano Pani, Italia, 2023, durata 135 minuti.
Artista poliedrico in grado di incidere in profondità nel panorama culturale dell’Italia sin dai primi Anni ’60, Giorgio Gaber (all’anagrafe Gaberscick, il padre era di origini istriane) grazie alla tv raggiunge non ancora venticinquenne un’incredibile notorietà. Strettamente legato dal punto di vista affettivo e professionale ad alcuni dei principali protagonisti della scena musicale italiana di quegli anni, Gaber scrive e canta con e per Mina, Enzo Iannacci, Adriano Celentano, Luigi Tenco, Ricky Gianco, diventando presto una stella di prima di grandezza della scena musicale e culturale italiana. Cantante, autore, presentatore, Gaber alla fine degli Anni ’60 è dunque uno dei personaggi più noti d’Italia ma proprio all’apice della fama decide di dare una svolta importante alla propria carriera scegliendo di lasciare la tv per il teatro, dove in sodalizio con il pittore e scrittore Sandro Luporini dà vita all’inedito esperimento di quello che verrà definito “teatro canzone”. Politicamente e socialmente impegnato, Gaber rappresenterà dai primi Anni ’70 sino alla metà degli Anni ’80 una delle punte di diamante del Movimento nato con il ’68, incarnandone però l’anima socraticamente più critica e autocritica, capace attraverso le sue canzoni e i suoi spettacoli di mettere in luce le crepe del capitalismo e del (corrotto) sistema politico italiano ma altresì di mostrare in modo lucidamente impietoso anche le grandi, drammatiche contraddizioni del Movimento.
Scritto e diretto da Riccardo Milani, “Io, noi e Gaber” non è soltanto un lungo e magnifico ritratto della carriera e della vita di uno dei maggiori protagonisti della scena musicale italiana del dopoguerra, ma è anche un delizioso, commovente (e a tratti straziante) spaccato della storia d’Italia, dalle prime trasmissioni Rai come “Il Musichiere” alla strage fascista di piazza Fontana, dalle manifestazioni del ’68 all’ascesa di Berlusconi. Gaber, forse più di qualsiasi altro autore e artista di quegli anni ha incarnato l’idea Adorniana e Brechtiana del binomio arte/politica, che egli ha vissuto e interpretato in tutta la sua bellezza e potenza ma anche portandone dentro di sé i contrasti, le incoerenze e le delusioni. Artista libero e strutturalmente antisistema, con le sue canzoni e i suoi spettacoli Gaber insieme a PierPaolo Pasolini ha rappresentato per l’Italia di quegli anni un eccezionale elemento di sana dissonanza e criticità di cui ancora oggi, soprattutto oggi, avremmo un gran bisogno, sommersi come siamo da un’intellighenzia troppo spesso prona ai potenti di turno. Da non perdere.
“IL GRANDE LEBOWSKI”
di Joel Coen; con Jeff Bridges, John Goodman, Julianne Moore, Steve Buscemi, John Turturro, David Huddleston, Philip Seymour Hoffman, Sam Elliott, Usa, Gran Bretagna, 1997, durata 117 minuti.
Ormai da qualche anno ci si è resi conto che numerosissimi capolavori del cinema di ieri e dell’altro ieri sono poco o per nulla conosciuti dal pubblico odierno e che dunque rieditare in un’edizione rimasterizzata e restaurata alcune pellicole può essere un’operazione decisamente meritoria sotto il profilo culturale ma anche vantaggiosa sotto quello economico. E così a venticinque anni dalla sua uscita, ecco che grazie alla Cineteca di Bologna torna sugli schermi “Il grande Lebowski” capolavoro assoluto e summa del cinema dei fratelli Coen, ma forse summa del cinema tout -court.
Dude Lebowski (la traduzione italiana Drugo è assolutamente inesatta e fuori luogo) è un simpaticissimo fannullone che vive leggero e disincantato ai margini della vita nella Los Angeles dei primi Anni ‘90. Le sue principali occupazioni sono dormire, giocare con gli amici a bowling, fumare con moderazione marijuana e bere con altrettanta moderazione White Russian, il suo cocktail preferito. Tutto il resto può attendere. Ma un bel giorno a sconvolgere questo tranquillissimo tran- tran intervengono due energumeni che scambiano Dude Lebowski per un suo ricco omonimo, orinandogli sul tappeto e minacciandolo di morte. Una volta compreso l’equivoco i due ceffi si dileguano e Dude si lancia alla ricerca del vero Lebowski per farsi rimborsare il tappeto, finendo però invischiato in una complessa (ma assolutamente esilarante) vicenda di rapimenti, truffe, dark ladies e bande di neonazisti sciroccati.
Caleidoscopico, surreale e divertentissimo, “Il grande Lebowski” è al contempo un grande film di scrittura zeppo di dialoghi scoppiettanti e memorabili quanto di personaggi e situazioni indimenticabili - da Dude/Jeff Bridges a Walter/John Goodman a Jesus Quintana/ John Turturro - ma è anche come spesso accade con il cinema dei Coen, (e in questo caso ciò accade al grado massimo), una graffiante opera di critica sociale in grado di mettere alla berlina in poco meno di due ore di proiezione miti e riti (veri e falsi) dell’american way of life, l’efficienza, il profitto, la rispettabilità, l’assurda politica di rapina del partito repubblicano statunitense, gli hippies e il falso alternativismo di una certa politica radical chic, e molto altro ancora. Se non lo avete mai visto, fatevi un regalo, andatelo a vedere, naturalmente al cinema.