Se domani non torno, mamma, distruggi tutto

Nonunadimeno
Foto Alberto Giachino (www.facebook.com/nonunadimenotorino)

“Accendi la tele… Li hanno trovati?”. Ho alzato lo sguardo dal telefono, quasi infastidita da mia madre che ha interrotto la maratona di un “anime” che mi piace molto. “Di che parli?”. Due secondi dopo sono sull’app della mia testata nazionale preferita a cercare l’edizione di oggi, mercoledì 15 novembre, che parli di Giulia e Filippo.
Giulia Cecchettin e Filippo Turetta, 22 anni entrambi, entrambi iscritti alla facoltà di ingegneria biomedica di Padova. Giulia e Filippo sono due ragazzi normali. Lui gioca a pallavolo e ama la montagna: spesso nelle valli venete “gioca” a orientarsi con solo una bussola in mano. Giulia è una ragazza come tante, come noi: ha due fratelli e il papà che le vogliono bene, mentre la mamma purtroppo è mancata da poco; il suo profilo Instagram è collegato a un altro, quello dove carica i suoi disegni, dato che vorrebbe diventare fumettista per bambini, ma prima di tutto la laurea in ingegneria biomedica, che sarà giovedì, e che festeggerà sabato 18, dopo chissà, forse sarà a Reggio Emilia cercando di realizzare il suo sogno artistico.
I due si sono innamorati: un amore nato lì in quelle aule universitarie, durato un anno e mezzo e terminato per volere di Giulia, che non riesce più a rimanere indifferente alle scenate di gelosia di lui. Una storia sentita altre volte: lui non accetta la fine della relazione, ci riprova, continua a non accettarlo. Nonostante questo, Giulia resta amica del ragazzo che sembra essere sempre così solo. Nel tardo pomeriggio di sabato 11 novembre i due escono insieme, come tante altre volte. Come tante altre volte lei si fida, lascia che lui la passi a prendere in auto per andare al centro commerciale: Giulia vuole comprare qualcosa di bello da mettersi per la sua laurea, prima di uscire ha mandato alla relatrice l’ultima versione della tesi. Non è normale però che Giulia, alla sua casa di Vigonovo (Ve), non faccia ritorno, né quella sera, né il giorno seguente. E ora sappiamo che non lo farà mai più.
Arriva giovedì, ma Giulia, la corona d’alloro sulla testa, non ce l’ha. Lei e Filippo sono scomparsi da sabato, senza lasciare traccia, se non macchie di sangue in un parcheggio quasi sotto casa Cecchettin. Un passante ha sentito urlare quella sera, ha chiamato i carabinieri che però sono arrivati tardi. Domenica entrambe le famiglie hanno dato l’allarme.
“Un bravo ragazzo che non farebbe male ad una mosca” o “un amore di ragazzo” dice il padre di Filippo, prima di venerdì, quando vengono resi pubblici i contenuti del video di sorveglianza in cui il figlio, il bravo ragazzo, colpisce Giulia alle spalle, e la trascina sanguinante in macchina, su quella Fiat Grande Punto che tutti hanno cercato in settimana, tra le campagne e le montagne del Veneto e del Friuli. Filippo viene ufficialmente accusato di tentato omicidio.
Nei giorni di attesa, con le speranze che diventano sempre più vane con il passare del tempo, saltano fuori piccoli resoconti su Filippo: un ragazzo che i genitori dicono essere tranquillo, ma che le amiche ed Elena, la sorella di Giulia, descrivono invece come ossessivo, possessivo. Nonostante la storia con Giulia fosse finita, lui ne controllava gli accessi su WhatsApp, le chiedeva dove andasse, cosa facesse, con chi fosse. Elena dice che ricattava emotivamente la sorella: “Se anche tu mi lasci, resto solo” o “La mia vita fa schifo senza di te, sono depresso, io mi ammazzo” (fonte: La Stampa, sabato 18 novembre 2023).
Arriva sabato, e sono io a dare la notizia a mia madre. Ha pranzato tardi e non ha fatto in tempo a vedere i telegiornali. “Hanno trovato Giulia in un canalone vicino al lago di Barcis, in Friuli” le ho detto, quasi sentendomi in colpa nel distruggere le sue speranze. Lei stava piegando i vestiti puliti, mettendo da parte quelli da stirare. Ha lasciato cadere la maglietta che aveva in mano. “No, non può essere, si doveva laureare questa settimana” ha detto, collegando inconsciamente la laurea di Giulia ad un momento di gioia, alla stessa felicità provata durante la mia, di laurea, quella passata e quella che sto per conseguire, così come mia sorella.
Mia madre, come me, come altre migliaia di donne in Italia vicine emotivamente alla famiglia di Giulia, è rimasta col fiato sospeso per tutta la settimana, ad aspettare notizie, qualcosa per cui sperare. Sperare che non sarebbe accaduto ciò che è già successo a Giulia Tramontano e a tante altre prima di lei.
In realtà ce lo aspettavamo, sapevamo come sarebbe finita quando il video ha rivelato gli ultimi istanti prima della sparizione. Lo sapevamo prima di sabato 18, quando Giulia è stata ritrovata senza vita.
Dire che ce lo aspettavamo sembra cinico, ma è il sintomo di un dolore che dura da troppo tempo. “Ce lo aspettavamo” è la goccia che fa traboccare il famoso vaso, già stracolmo. Faccio parte di una generazione che usa i social per comunicare, ed è da lì che scopro del ritrovamento di Giulia. È sempre da lì, dai profili Instagram delle mie amiche, da quelli di ragazze che conosco solo di vista, di altre che nemmeno conosco, che vengo prima investita dalla rabbia, poi invasa. Al contrario, sono pochi i ragazzi che spendono una frase in suo ricordo: vero è che non tutti rendono pubblici i propri pensieri, ma quasi la totalità delle ragazze che seguo, condividono una frase, una foto, una poesia. La maggioranza dei ragazzi, compresi i miei amici, preferiscono celebrare la vittoria di Sinner: niente di male, ovviamente, tutta Italia lo ama, me compresa. Ma questa schiacciante sensibilità femminile, che non ha paura di essere mostrata in pubblico, vorrà pur dire qualcosa.
Siamo arrabbiate, tutte. Siamo arrabbiate con un sistema patriarcale nel quale non ci riconosciamo e mai ci riconosceremo, grate e forti delle lotte di chi ci ha precedute. Siamo arrabbiate perché stiamo cercando di liberarci, ma rimaniamo inascoltate a vedere chi sarà la prossima. Siamo arrabbiate perché lo sapevamo che sarebbe finita così: ogni volta che una donna scompare e che il suo passato comprende un fidanzato/marito/padre/fratello, ma, più in generale, un uomo geloso, noi sappiamo cosa è successo. Si tratta di logica, non di veggenza, si tratta di azioni sistemiche che accadono quando una donna cerca di proseguire sulla propria strada, su una via che non comprende più un certo uomo, e cerca di lasciarselo alle spalle, e alle spalle viene aggredita. Ora però abbiamo smesso di guardare, stiamo urlando.
E Filippo? Arrivati a sabato sera, di lui ancora nessuna traccia. Filippo viene indicato come il presunto assassino: si ipotizza ancora, perché le indagini sono in corso, anche se il video della violenza usata su Giulia per gli inquirenti è inequivocabile e da venerdì il ragazzo è indagato per tentato omicidio. Non si tratta di un mostro, non di una bestia o una persona con una malattia mentale. È un ragazzo. Possessivo e geloso.
Domenica mattina. Filippo Turetta viene arrestato in Germania, mentre guida la sua auto in autostrada. Un ultimo dettaglio: avrebbe usato banconote con macchie di sangue per fare benzina durante la sua fuga, fermandosi domenica scorsa - dopo aver abbandonato il corpo di Giulia nel canalone - a fare rifornimento in un distributore automatico di Cortina. Giulia era già morta quando l’ha gettata nel canale. Lui è scappato.
Non ci sono ragioni da capire, come chiedono i media, e nemmeno le vogliamo sapere. Siamo stanche di vedere che ogni volta l’assassino viene de-umanizzato e de-colpevolizzato, ricondotto a qualche disturbo psicologico. Filippo è un ragazzo, ha scelto di uccidere la ragazza che lo aveva lasciato, che si sarebbe laureata prima di lui, che voleva andar via per studiare disegno a Reggio Emilia. Ha scelto di rubarle la vita, decidendo non “per lei” ma “di lei” come se fosse un oggetto, una sua proprietà. Una proprietà che stava diventando scomoda, che voleva proseguire sulla propria strada “lasciandolo indietro”.
Ecco, a Giulia promettiamo questo. Noi non dimenticheremo, siamo arrabbiate, siamo diventate Furie. Siamo con te e con tutte le altre bambine, ragazze e donne uccise prima di te. Pretenderemo giustizia. Distruggeremo tutto.

“Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima” - Cristina Torres Càceres, Perù, 2011.