Visita “ad limina”: dal Papa per fare il punto sul cammino ecclesiale

Dal 22 al 27 gennaio, i vescovi del Piemonte e della Valle d’Aosta a Roma per condividere fatiche e speranze delle comunità. Intervista a Franco Lovignana, Vescovo di Aosta e presidente della Cep

Vescovi Piemontesi CEP ottobre 2022
I vescovi di Piemonte e Valle D'Aosta (ottobre 2022)

Iniziano il 22 gennaio le visite "ad limina apostolorum" dei Vescovi italiani. Si tratta di una tradizione antichissima - regolata nei secoli da appositi documenti - che vede i Vescovi di tutto il mondo recarsi ogni cinque anni in Vaticano per fare il punto sulla fede e sulla religiosità nel proprio Paese. In realtà, per diversi motivi, questa visita avviene dopo 10 anni dalla precedente.

Le visite servono, altresì, al Papa per avere informazioni sulle singole diocesi, sui problemi, le iniziative, le difficoltà e l'evangelizzazione. Non si tratta, dunque, di un puro adempimento burocratico, ma di un avvenimento carico di significato spirituale e pastorale per i vescovi e per le nostre Chiese.

Nei prossimi mesi i Vescovi delle 16 Regioni ecclesiastiche italiane saranno impegnati, in base alla suddivisione del territorio ecclesiastico, nel loro "pellegrinaggio" alla Santa Sede. Primi ad essere ricevuti sono i vescovi del Piemonte e della Valle d’Aosta (nella foto), dal 22 al 27 gennaio. L’ultima visita “ad limina” della Conferenza Episcopale piemontese è avvenuta nel maggio del 2013.

La visita prevede l’incontro con Papa Francesco, con i capi Dicastero della Curia romana e la celebrazione dell’Eucaristia nelle quattro Basiliche romane. A guidarla è Franco Lovignana, Vescovo di Aosta e presidente della Cep.

Mons. Lovignana, può tratteggiare i contorni delle Chiese locali di Piemonte e Valle d’Aosta che presenterete al Papa, originario proprio di queste terre?

In realtà questa domanda andrebbe rivolta ad ogni singolo Vescovo perché, se è vero che le nostre sedici diocesi compongono una Regione ecclesiastica, è altrettanto vero che ognuna di esse ha peculiarità proprie che derivano dalla sua storia, ma anche dalla situazione ecclesiale e sociale recente che la caratterizza. Così la Santa Sede chiede ad ogni Vescovo di presentare una relazione specifica della propria Chiesa locale in occasione della Visita ad Limina.

In termini generali mi sembra di poter dire che possiamo descrivere i contorni delle nostre diocesi in chiaro-scuro. Da una parte registriamo una certa ‘stanchezza’ delle comunità parrocchiali e religiose e la fatica pastorale e organizzativa delle diocesi a causa della riduzione numerica non soltanto del clero ma anche e soprattutto dei fedeli. Dall’altra parte avvertiamo segnali di vitalità a partire dalla presenza, certamente ridotta, ma vivace dei giovani (ne è segno la grande partecipazione alla GMG di Lisbona con papa Francesco l’estate scorsa), il fermento legato all’assunzione di responsabilità da parte dei laici attraverso una più diffusa ministerialità ecclesiale che si va progettando e costruendo, il dinamismo nell’evangelizzazione e nella formazione di alcune aggregazioni laicali, la ripresa di alcune comunità religiose, una presenza significativa del volontariato di ispirazione cristiana sia nelle realtà legate alla Chiesa sia in quelle laiche.

Quali sentimenti attese, fatiche e speranze dei piemontesi e valdostani porterete all’incontro con Francesco?

Porteremo nell’incontro con papa Francesco i sentimenti di affetto filiale che da sempre la nostra gente nutre nei riguardi del Papa, affetto che si esprime attraverso l’attenzione alla sua parola e attraverso la preghiera per la sua persona e il suo ministero, come registro molto spesso incontrando i fedeli.  Le attese e le speranze dei piemontesi e dei valdostani non credo siano molto diverse da quelle degli altri uomini e donne del nostro tempo e ruotano certamente attorno al tema della pace. In questo senso possiamo dire al Papa quanto sia apprezzata la sua parola e la sua opera per tentare di comporre i tanti conflitti che insanguinano la terra e infliggono sofferenze indicibili agli innocenti.  Sappiamo bene che la pace - come del resto purtroppo anche la violenza - è espressione di una cultura da costruire attraverso un vero cambiamento del cuore e della mente di ogni uomo. Noi chiamiamo questo cambiamento conversione e siamo convinti che l’annuncio del Vangelo di Cristo, l’adesione alla sua Persona e la testimonianza ecclesiale dell’amore di Dio possano rappresentare un contributo decisivo alla causa della pace. Questa è l’attesa e la speranza che portiamo nella Visita ad Limina.

Le fatiche che rappresenteremo al Papa sono le fatiche di Chiese locali che vivono in un contesto di forte indifferenza e spesso anche di rifiuto della prospettiva cristiana della vita, della famiglia, della società. Sono le fatiche di Chiese locali che non si sono ancora sufficientemente attrezzate a stare dentro a questa situazione in maniera creativa e propositiva e che quindi rischiano sempre o di rifugiarsi nel ricordo dei “bei tempi andati” della cristianità (immaginando di avere davanti un mondo che in realtà non esiste più) o di adattarsi al momento presente piegandosi acriticamente alla cultura dominante.

Le fatiche che rappresenteremo al Papa sono anche le fatiche che vive la società civile. Soltanto per toccare qualche tema: la crisi del settore produttivo, industriale in particolare, la situazione di quanti non hanno lavoro e di quanti vivono ai margini della società, la crisi di partecipazione, un certo disorientamento del mondo giovanile e giovane adulto, la denatalità, lo spopolamento di tanta parte del nostro territorio.

Lovignana Franco
Franco Lovignana, vescovo di Aosta e Presidente della CEP

Ci sono ambiti che più preoccupano i Vescovi piemontesi?

Oltre alle questioni sociali appena evocate, credo che per il futuro delle nostre Chiese locali siamo preoccupati dal problema delle vocazioni, che non riguarda solo il ministero ordinato, ma anche le vocazioni alla vita consacrata e al matrimonio cristiano. Siamo anche preoccupati di poter dare sufficiente formazione ai fedeli, intendendo per formazione non tanto e non solo la trasmissione di contenuti e di competenze, ma soprattutto la maturazione complessiva (umana, spirituale, biblico-teologica) nell’esperienza di fede che fa di un cristiano un discepolo di Gesù a tutto tondo. In questo personalmente percepisco come sfida importante una formazione integrata tra laici, ministri ordinati e consacrati. Si tratta di ripensare i nostri modelli formativi perché si possa davvero camminare insieme sulla strada della maturazione di fede, della sua consapevolezza e della sua espressione liturgica, intellettuale e testimoniale. Mi pare che una formazione integrata alla vita cristiana matura e responsabile permetterà alle nostre comunità di essere una presenza evangelizzatrice significativa nel contesto sociale e culturale di oggi.

C’è una peculiarità di questa parte d’Italia nel vivere la fede cristiana?

Non saprei rispondere con precisione. C’è indubbiamente un tratto di sobrietà e di praticità che caratterizza la vita cristiana delle nostre comunità. E questo può essere un aggancio efficace con la cultura efficentista del nostro tempo, ma rappresenta anche un rischio, quello di presentare e vivere il cristianesimo come un ‘fare’ e non come una relazione con la persona del Signore Gesù Cristo e attraverso di Lui con il Padre nello Spirito Santo. Penso che la vita frenetica che tutti divora ci offra un’opportunità per riscoprire la fede come dono e mettere in valore le dimensioni della gratuità, del silenzio, della preghiera e dell’ascolto. In questo senso credo che il percorso sinodale con la sua metodologia (ascolto e conversazione spirituale) abbia offerto e stia offrendo alle nostre comunità un grande aiuto.

Piemonte terre di santi sociali. Quanto rimane della loro eredità?

Credo che rimanga nel DNA delle nostre Chiese locali l’attenzione al sociale dei grandi Santi che hanno segnato la nostra storia. Tuttavia, credo sia necessario riscoprire e ritrovare il loro slancio e farlo gustare anche alle giovani generazioni delle nostre comunità, a partire dalla catechesi e dalle attività degli oratori e dei gruppi. Le nostre comunità devono essere aiutate a considerare la realtà sociale, culturale e politica, cioè la vita delle persone, come luogo della carità e dell’evangelizzazione. Non dimentichiamo che lo sguardo sulla società dei grandi Santi sociali nasceva dal Vangelo, si nutriva di Vangelo e a Gesù Cristo voleva portare. Questa prospettiva oggi rischia di essere un po’ oscurata da un eccessivo protagonismo orizzontale.

Che cosa vi aspettate come frutto della visita ad Limina?

Credo che il frutto più grande sia quello di rinsaldare il legame di comunione con la Chiesa universale attraverso la persona del successore di Pietro e dei suoi collaboratori che avremo modo di incontrare e di ascoltare e ai quali anche cercheremo di rappresentare i problemi e le ricchezze delle nostre Chiese, alla ricerca di una parola di luce e di incoraggiamento.

Chiara Genisio