Turbolenze politiche nell’Unione europea e dintorni

Mancano ancora quattro mesi alle elezioni per il Parlamento europeo, la campagna elettorale dura da almeno altrettanto tempo e i programmi europei sono ancora da definire, salvo farne emergere qualche spezzone ad uso delle polemiche nazionali.
Gli esempi si sprecano: dai temi economici, come l’uso strumentale delle risorse del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr), a quelli monetari attorno alle misure attese dalla Banca centrale europea (Bce), fino alla confusione intrattenuta ad arte sulle responsabilità della politica agricola oggetto delle manifestazioni di questi giorni.
Si tratta di temi declinati in chiave nazionale, in vista del consenso da conquistare nel proprio Paese, in competizione con avversari e, più spesso ancora, con gli alleati della propria coalizione. Tutto questo mentre la storia e i drammatici conflitti che la segnano meriterebbero di riportare al centro dell’attenzione almeno la dimensione europea, già non sufficientemente decisiva.Figuriamoci quanto possa pesare ciascuno dei 27 “staterelli-nazione” che si azzuffano nell’Unione europea.
Ritroviamo qui la ricorrente tradizione, italiana ma non solo, di sovradimensionare il dibattito nazionale, perlopiù con scadenze di breve periodo come le elezioni, magari anche solo locali, rispetto a quello di gran lunga più pertinente di respiro comunitario da sviluppare verso orizzonti più ampi, non soltanto europei ma mondiali, come richiede la stagione che viviamo.
Sarebbe ora che i partiti nazionali e, più ancora i Gruppi politici europei, ci dicessero con chiarezza che futura Unione vogliono - sempre che tutti la vogliano - e con quali alleanze contano raggiungere i loro obiettivi.
Le turbolenze di questi giorni sembrano disegnare nuove mappe politiche, in particolare nello spazio accidentato dei partiti orientati verso un ritorno alle “piccole patrie” nazionali, come avviene in Paesi importanti come la Germania, la Francia, l’Italia, la Spagna, l’Olanda e altri ancora. Qui la polarizzazione politica tende ad aggregare forze che erano apparse finora tra loro distanti, tra ali estreme dello scacchiere politico europeo e forze conservatrici che parevano presentarsi come potenzialmente moderate.
La lotta elettorale in corso sta facendo cadere qualche maschera di provvisoria conversione europeista nel tentativo di rovesciare gli equilibri politici del passato, per mandare all’opposizione le tradizionali maggioranze di centro-sinistra, di orientamento tendenzialmente federale, per far prevalere un modello inter-governativo di stampo confederale, nel nome della salvaguardia di una presunta sovranità nazionale che, se anche esistesse, non avrebbe nessun ruolo nel nuovo mondo che si va configurando.
Per gli elettori, il prossimo giugno, il bivio sarà tra quanti vorranno andare avanti, con tutta la pazienza necessaria, verso la difficile costruzione di una “Patria Europa”, e quelli che vorranno tornare indietro verso una “Europa delle patrie”, quella che ci portò nella prima metà del ‘900 a due guerre mondiali e che potrebbe saldarsi pericolosamente con i conflitti in corso ai nostri confini, frutto di sovranità esasperate: imperiali, nazionali o di movimenti armati che siano.
Non è il momento di distrarsi, meglio informarsi sulla posta in gioco nel voto del prossimo giugno e smascherare sovranismi filo-atlantisti travestiti da finte aperture europeiste o simpatie sotto traccia verso lo zar invasore, come emerge da spezzoni di campagna elettorale e dalle alleanze politiche in costruzione in Europa.