Il mondo dei vini ci ha abituati a figure professionali di ogni livello; accanto a chi il vino lo fa ci sono esperti di comunicazione, sommelier, progettisti... Non è così in tutti i settori. In quello del formaggio, al contrario, sebbene la produzione si divida nettamente tra industriale, con l’impiego di latte pastorizzato, e artigianale, che perlopiù lavora latte crudo, nonostante l’immensa varietà di lavorazioni, stagionature, latti possibili il panorama è completamente diverso.
A Cervere, però, abita Maria Cristina Crucitti, la cheese storyteller, la donna che racconta i formaggi. 43 anni, sposata con Flavio e mamma di Giovanni, Maria Cristina è nata a Reggio Calabria, ma è stata una vera globe trotter dello stivale, trasferendosi fin da piccola con frequenza. Piacenza, Torino, dove ha studiato Scienze internazionali e diplomatiche, l’Astigiano, dove ha avviato un allevamento di capre con annesso caseificio, Moretta e ora Cervere sono tra le tappe principali della sua storia.
Come è nato il tuo rapporto con il formaggio?
Dopo il liceo linguistico volevo studiare Scienze internazionali e sono andata a farlo a Torino. Immaginavo un futuro in cui avrei potuto lasciare il segno, lavorando magari nella cooperazione internazionale. Dopo la laurea mi sono piano piano resa conto che l’idea che mi ero fatta era lontana dalla realtà. Stavo studiando per un concorso al ministero degli Esteri e venni a sapere che si era liberato un pezzo di terra vicino a casa dei miei, nell’Astigiano. Era in discesa, scomodo: 4 ettari in cui era difficile immaginare di coltivare qualcosa. Mi misi a pensare a come utilizzarlo, feci un business plan, delle ricerche e mi resi conto che il miglior modo sarebbe stato un allevamento di capre con annesso laboratorio caseario. Pensai che in quel modo avrei potuto fare subito qualcosa di utile, mettere in piedi una azienda agricola sostenibile. Ho quindi cercato un corso e ho acquisito il titolo di tecnico caseario a Moretta. Sono partita con 30 capre e un becco e poi sono cresciuta fino ad arrivare a 75. Nell’idea iniziale mio fratello si sarebbe dovuto unire a me, ma scoprì di non essere tagliato per questo lavoro. Ero troppo piccola per assumere delle persone e troppo grande per andare avanti da sola e a malincuore mi resi conto che avrei dovuto chiudere. Ma ormai il formaggio era entrato nella mia vita.
E a Cervere come ci sei arrivata?
Per amore. Ho conosciuto quello che oggi è il mio compagno all’inizio dell’attività a una fiera del settore a Torino. Per diverso tempo ci siamo frequentati a distanza. Quando ho venduto le caprette e chiuso l’azienda mi sono trasferita. Era il 2013.
Una volta qui, come sei diventata The Cheese storyteller?
Quando sono arrivata a Cervere ne sapevo ormai troppo di formaggio per cambiare strada. Avevo fatto anche delle esperienze in Francia dove la produzione è all’avanguardia. Sono andata a Bra da Fiorenzo Giolito, che ha un bellissimo negozio e si occupa anche di fare selezione di formaggi. Sono stata fortunata: poche settimane prima una sua dipendente molto preziosa aveva annunciato che sarebbe andata in maternità e non gli sembrò vero di trovarsi davanti una persona con le mie competenze. Ho lavorato da lui per 18 mesi. Vendevo tantissimo formaggio perché lo raccontavo. Mi sono resa conto, già quando avevo la mia produzione, che c’è uno scollamento tra produttore, che dentro al formaggio mette la sua storia, le sue esperienze, la sua vita, e il consumatore che divide sostanzialmente tra buono e non buono senza conoscere quella storia. Ho quindi preso il coraggio, con il prezioso supporto del mio compagno, di fare una cosa pazza. Ho scritto un progetto e mi sono messa a raccontare il formaggio.
Come lo fai?
Ho un blog, che purtroppo trascuro un po’, che mi aiuta a far capire alle persone cosa faccio. Fondamentalmente la mia attività è divisa in due rami: da un lato aiutare le aziende a raccontarsi meglio, dall’altra l’organizzazione di attività ludico didattiche sul formaggio per capire qualcosa di più divertendosi. In questo modo posso far passare ciò in cui credo molto: il valore di un’agricoltura sostenibile e la qualità dei prodotti che ne derivano. Sono maestro assaggiatore Onaf, con i quali insegno tecnica casearia, sono formatore per Slow food.
In questi anni sono stata un po’ risucchiata dal settore turistico. Le mie attività laboratoriali sono aperte a tutti, ma le prenotazioni arrivano prevalentemente da turisti enogastronomici che vogliono fare esperienze sensoriali.
Tengo inoltre una rubrica mensile su Gusto (che esce con La Repubblica, La Stampa e Il secolo XIX) oltre a scrivere articoli sia per la carta stampata che online.
E in futuro?
Rispetto a quello del vino, il mondo dei formaggi non è ancora prontissimo ad aprirsi al mondo della comunicazione, ma qualcosa si muove. Da diversi anni ho una collaborazione con Roberta Garibaldi, docente universitario, ex vice presidente commissione turismo Ocse, presidente dell’Associazione italiana Turismo enogastronomico. Ogni anno tengo un master all’università di Bergamo.
Cerchiamo di spiegare come lo storytelling sia importante nelle esperienze sensoriali.
Mi piacerebbe essere più aperta sul territorio, raccontare le nostre aziende e i prodotti del territorio non solo a chi arriva da lontano. Sto allestendo uno spazio anche a Cervere dove fare delle degustazioni guidate.
Il mio scopo è quello di costruire delle esperienze ad hoc che siano uniche.