Autodidatta, Beppe Oberto ha contribuito a costruire le reti commerciali delle più importanti aziende internazionali dei trattori e delle attrezzature agricole e ha viaggiato in tutto il mondo per visitare fiere, tenere i contatti e acquistare mezzi agricoli da rivendere in Italia. Intelligente e intuitivo, ha precorso spesso i tempi, basandosi sul suo fiuto, sulla conoscenza della realtà, sul forte senso pratico e sulla capacità di collegare i fatti e di trarne deduzioni. Ha sempre messo al centro le relazioni umane, mantenendo nel tempo i rapporti costruiti nel corso della sua attività. Ha vissuto tutto con grande passione, una passione che gli ha consentito di superare ostacoli a volte non indifferenti.
Gli abbiamo chiesto di ripercorrere con noi la sua vita e lo ha fatto con grande generosità, dimostrando un’eccezionale capacità di ricordare fatti, episodi, aneddoti e, soprattutto, nomi. Ricorda i nomi di tutte le persone incontrate a partire dall’infanzia, i sentimenti e le emozioni che taluni incontri hanno destato in lui: un vero piacere ascoltarlo.
Dunque, Beppe, cominciamo dall’inizio. Sei nato in Francia.
Sono nato in Francia perché mio padre era emigrato là per lavoro. Mamma faceva la cuoca, papà il giardiniere. Quando io avevo due anni papà emigrò in Argentina. E l’ho rivisto solo dopo quarant’anni. Mamma tornò in Italia e mi portò a balia dai Mondino di Levaldigi, parenti di don Biagio. Lì rimasi fino ai 5 anni.
Mamma intanto continuò per qualche anno a lavorare in Francia.
Nonno, il papà di mamma (che aveva otto figlie, di cui mia madre, Lucia, era la più grande), preoccupato del pericolo che in tempo di guerra poter costituire il campo di aviazione, venne a prendermi e mi portò a vivere a casa loro, a Piovani.
A Piovani sei conosciuto come Gepe ‘d Rosa.
Sì, perché lì mi hanno visto crescere con la famiglia materna, che si chiamava Rosa. Mio nonno è stato per me un ottimo padre, nonno, maestro. Mi ha insegnato tanto, tutto… Prima di andare a scuola mi faceva andare al pascolo. Ho imparato a fare tutto in campagna. Era una persona razionale, consapevole. Aveva capito che io ero appassionato alla meccanica e, visto che non poteva permettersi di iscrivermi alla scuola media (allora non era obbligatoria e si pagava) cercò di assecondare la mia passione. Verso la fine del 1951, quando avevo poco più di quindici anni, andai a fare l’operaio in un’officina meccanica di Fossano, dai Sarvia, che avevano un commercio di trattori e macchine agricole. Partivo in bicicletta da Piovani con altri ragazzi. All’epoca la strada era sterrata e dissestata; ogni giorno qualcuno forava la bicicletta. Per fortuna potevamo contare sull’aiuto di Giovanni Gerbaudo, il meccanico di Maddalene, che la ripara e noi riuscivamo a completare il viaggio. Io ero appassionato di trattori, e quel lavoro mi piaceva. Mia madre insisteva perché andassi in fonderia - era appena nata la vecchia Fonderia Bongioanni -, ma a me non interessava. Tanto insistette che andai per farle piacere, ma dopo una settimana tornai dai Sarvia: non era la mia strada. Nonno lo aveva capito.
Lavorando in officina mi si aprì un mondo; cominciai a studiare per approfondire le mie conoscenze. A 19 anni trovai un nuovo lavoro, in cui potevo unire la mia passione per la meccanica con un altra attività per cui mi sentivo portato: il commercio. Iniziai così a lavorare alla ditta Cantatore di Moncalieri. Mi assunsero come tecnico, ma in realtà mi fecero apprendere l’arte del commercio, affiancandomi un commerciale esperto.
Cosa facevi esattamente?
Mi mandavano in giro con una Giardinetta in legno, con scritto Nuffield (il nome dell’azienda inglese produttrice di trattori - ndr): con quella giravo il Piemonte, la Lombardia e la Toscana… Io preparavo il terreno, cercavo di capire se c’era interesse per il nostro marchio, presentavo bene i nostri prodotti e lasciavo agli altri il compito di definire l’accordo. I primi giorni mi mandarono anche alla Fiera di Verona; stiparono in un furgone scrivania e sedie e preparai lo stand. Mi fermai poi in fiera e cercai di far fruttare al meglio quell’esperienza: invitavo le persone a fermarsi allo stand, spiegavo, distribuivo volantini… Un modo di lavorare che per me era naturale ma che spesso non ritrovavo nei miei colleghi.
Poi sei passato al Consorzio Agrario. Perché decidesti di cambiare?
Perché nel frattempo mi ero sposato e la vita da girovago che facevo per la Cantatore non si conciliava con il ruolo di marito e padre. Ora avevo bisogno di un po’ di stabilità. In quel periodo nacquero le mie figlie e io approfittai di quella maggior tranquillità per mettermi a studiare. Frequentati l’avviamento industriale (ricorda il nome della preside -ndr) e mi iscrissi a un corso di inglese con insegnanti madre lingua; mi furono utili soprattutto le lezioni di conversazione: ero curioso di imparare a parlare…). Erano anni ottimi per chi lavorava in questo settore, ma bisognava lavorare bene. Il mercato era sempre più in fermento. In quell’epoca c’erano 25 marchi in più di trattori rispetto al giorno d’oggi: la scelta, sia per i concessionari che per gli agricoltori, era molto ampia e bisognava essere preparati e convincenti.
In quel periodo ricominciasti a guardarti intorno…
Esatto. Presi ferie per andare a una fiera internazionale, perché volevo capire cosa si muoveva nel settore. Partii con un amico. Grazie al mio recente apprendimento dell’Inglese mi avvicinai allo stand della Deutz e parlai con un dirigente. Questi mi chiese se fossi interessato a lavorare con loro. Io non aspettavo altro. Mi proposero un contratto come ispettore; dovevo creare la loro rete di vendita. Accettai. Mi fermai una settimana in sede, alla Sasma di Milano e dopo una settimana ero pronto per iniziare. Ero molto appassionato. Il direttore si rese conto di questo e cominciò a mandarmi alle fiere; amava confrontarsi con me, valutava le mie proposte… Fu un periodo molto bello, di grandi gratificazioni.
Come ti organizzavi per costruire una rete in una zona in cui la Deutz non era conosciuta?
Dovevo trovare dei venditori disposti a inserire la Deutz tra i loro marchi, ma all’epoca non c’era internet: pensai che il benzinaio poteva fare al caso mio: conosceva senz’altro il territorio. Mi fermavo e gli chiedevo se mi poteva indicare l’indirizzo di un venditore di mezzi agricoli; in genere poi riuscivo ad ottenere molte altre informazioni. In questo modo arrivavo preparato. Oggi si lavora molto per telefono o con le mail: io sono sempre stato convinto - e lo sono tuttora - che sia meglio presentarsi sul posto. Ci si conosce di persona, si creano relazioni…E bisogna sempre presentarsi bene, in ordine. Questo mi è stato trasmesso dal nonno.
Con la Deutz ti sentivi gratificato, hai detto. Tuttavia non ti sei fermato.
Un carissimo amico spagnolo che scriveva per una rivista del settore mi
parlò di una ditta polacca, che produceva trattori, gli Ursus, con un ottimo rapporto qualità prezzo. Mi informai e scopri che quel marchio sarebbe stato presente alla fiera di Losanna. Mi ci recai e mi presentai allo stand. I trattori erano effettivamente molto validi. I responsabili dell’azienda mi spiegarono che a Parigi avrebbero presentato un nuovo modello, il C385, una macchina davvero moderna e funzionale.
Io mi prenotai subito per Parigi. Cominciammo a discutere di una possibile rappresentanza. Andai in Polonia il 10 giugno 1970 per accordarci e firmare il contratto definitivo; era presente una numerosa delegazione dell’Ente di Stato - Agromet - che commercializzava i trattori e le macchine agricole.
Perché la scelta di lasciare la Deutz per la Ursus?
Avevo fatto una ricerca di mercato e mi ero reso conto che c’era un bel margine per gli Ursus. Le prestazioni del trattore erano ottime; erano stati progettati dai vecchi ingegneri che si erano laureati prima dell’avvento del comunismo in Polonia. Le macchine delle altre ditte all’epoca in concorrenza con il C385 Ursus offrivano prestazioni molto meno valide: non avevano ancora il servo sterzo, non erano dotati dei sistemi idraulici che invece aveva già il trattore Ursus. Persino il sedile era più moderno: era già un sedile pneumatico con cabina sospesa. Quegli ingegneri si erano rivelati davvero bravi.
Che impatto hanno avuto quei trattori in Italia?
L’agricoltore dell’epoca non conosceva molto le prestazioni di un trattore; spesso decideva sulla base del prezzo. Io dovevo impegnarmi molto nel descrivere le prestazioni e come esse avrebbero inciso sul loro lavoro. L’Ursus, come dicevo, aveva un ottimo rapporto qualità prezzo, e questo mi favoriva. In un anno vendetti 351 Ursus in Italia oltre a una trentina in Svizzera.
Per la Ursus hai dovuto costruirti tutta la rete di vendita?
Certo, mi sono rivolto ai diversi venditori già presenti. Sono partito dal Piemonte; in zona i primi a presentare i trattori polacchi sono stati i fratelli Barale, miei cugini (che oggi hanno costituito tre aziende nel settore macchine agricole tra le più grandi in Italia). Grazie a loro - e al capostipite, mio zio Giacomo, che aveva un grande intuito e grandi vedute, potevamo sperimentare le macchine agricole acquistate nell’azienda di Gerbo. Insieme a loro introdussi uno dei marchi più importanti, la Kuhn - tutt’oggi all’avanguardia nel settore - che la Barale Olivero continua a commercializzare.
Poi ho costruito la rete in tutta Italia e anche in Svizzera, dove avevo creato tre punti vendita, di cui uno particolarmente importante. In Svizzera ho potuto apprezzare un’organizzazione dei punti vendita molto più razionali dei nostri. Ne ho parlato con i nostri venditori e in alcuni casi sono riuscito a convincerli a mutuare quei sistemi.
Girare il mondo serve anche a questo.
Altroche! Apre gli orizzonti, fa conoscere modi diversi di affrontare e risolvere i problemi. Nel corso della mia attività ho conosciuto realtà molto diverse e ho messo in contatto molti produttori di diversi settori, dai vini, alla cancelleria, ai prodotti parafarmaceuici, oltre naturalmente alle macchine agricole.
Ad un certo punto ho portato in Polonia anche i rimorchi e gli spandiletame, perché i loro rimorchi non erano funzionali. Gli ho spedito un macchinario perché ne potessero copiare il modello; un bravo ingegnere ha ricavato il disegno e hanno cominciato a produrli, più funzionali dei nostri. Ora la Polonia è molto avanti: recentemente ci sono stato e l’ho trovata enormemente cambiata rispetto a quell’epoca.
Quando hai interrotto la vendita dei trattori Ursus?
Quando ho visto che l’azienda non era più in grado di aggiornare il prodotto. In Polonia non arrivavano più le materie prime e la Ursus non riusciva più a fabbricare trattori di qualità; non c’erano più prodotti interessanti. Ho interrotto il contratto e, non avendo ancora raggiunto l’età della pensione, ho contattato la Valmet, un’azienda finlandese - con cui ho avviato un’ottima collaborazione. Ho poi lasciato l’attività quado la Valmet ha ceduto a una multinazionale, l’Agco. Con i finlandesi si lavorava benissimo: gente seria, responsabile, che ha una parola sola. Il loro prodotto è di altissima qualità. Andavo molte volte all’anno in quel Paese. Mi piaceva stare con quelle persone.
Tu hai costruito molto legami attraverso il tuo lavoro…
Sì, tantissimi legami. Con molte persone ci sentiamo ancora adesso. A Natale ricevo telefonate da tutto il mondo. Ho ospitato molte persone a casa mia. Anna (la moglie mancata un anno fa - ndr) mi accompagnava in questo: era un’ottima cuoca e organizzava delle cene squisite. Ho ospitato tanti polacchi, tedeschi, argentini, inglesi… Una sera ho ospitato anche Blair: era un giovane ingegnere, dirigente del Gruppo Leyland che aveva incorporato la Nuffield. Io, che in passato avevo lavorato per la Nuffield, volevo capire se ora continuasse ad avere prodotti interessanti. È venuto due o tre volte a casa mia. Una volta l’ho portato in aeroporto e mentre mi salutava gli sottrassero la valigia…
***
Beppe Oberto, 87 anni che assolutamente non dimostra, continua a interessarsi a mille cose. Trascorre alcune ore della giornata nell’azienda delle figlie che si occupa della vendita all’ingrosso di attrezzatura da giardino. Anni fa Beppe aveva intuito che l’attrezzatura agricola per gli spazi ridotti avrebbe avuto un futuro e aveva provato a proporre piccoli trattori da giardino e per l’hobbistica, ma era “troppo avanti”, nessuno gli diede retta. Non si diede per vinto. E puntò su questo prodotto per l’azienda da lasciare alle figlie e ai nipoti che tutt’ora commercializzano trattori e attrezzatura per giardinaggio e hobbistica.