Nelle aziende frutticole del Fossanese non è arrivato il caporalato

la raccolta della frutta nell'azienda di Bodrero a Maddalene

La terribile e vergognosa vicenda di Latina (un bracciante Sikh lasciato morire dissanguato dall’agricoltore per cui lavorava) e la conferma del ruolo del caporalato – ricattatorio e violento - nelle Langhe, hanno acceso un faro sul lavoro stagionale per la raccolta della frutta e verdura, che impegna migliaia e migliaia di stranieri, in condizioni spesso disumane.

La provincia di Cuneo è stata spesso sotto i riflettori per la situazione che d’estate si crea nel Saluzzese, dove si riversano migliaia di stranieri in cerca di lavoro. In quell’area il fenomeno è di difficile gestione, nonostante l’impegno dell’Amministrazione comunale, delle organizzazioni sindacali e delle Organizzazioni di categoria.

Ben diversa, senz’altro, la situazione del Fossanese, che non ha una vocazione frutticola, ma che conta tuttavia una quarantina di aziende (se si considera anche la zona Di Centallo).

“Qui non ci sono le situazioni di cui parlano in questi giorni le cronache innanzitutto perché non è mai entrato il caporalato - ci ha detto Andrea Bodrero, - frutticoltore di Maddalene, presidente di sezione Coldiretti e referente territoriale Coldiretti per la frutticoltura. Le aziende reperiscono la manodopera basandosi sulle conoscenze, affidandosi al passaparola, valutando chi arriva in azienda a cercare lavoro. Ogni azienda adotta la sua strategia: c’è chi di anno in anno chiama i lavoratori dalla Romania o da altri Paesi: questi fanno la stagione poi tornano al loro Paese; chi si affida alle persone dell’anno precedente e allarga un po’ il giro attraverso le conoscenze degli stessi dipendenti.

“Nel Fossanese c’è un sistema di aziende serio e consolidato che non permette al caporalato di inserirsi” - ci ha detto Stefano Cassine, volontario Anolf  -Associazione nazionale oltre le frontiere, collegata alla Cisl; nel corso del mio servizio ho incontrato molte aziende frutticole che lavorano in modo responsabile e trattano con dignità le persone: si tratta di aziende serie che regolarizzano i lavoratori.

Chi lavora in questo campo – aggiunge Cassine – sa tuttavia che il margine è molto stretto: più la normativa sugli immigrati è rigida e maggiore è lo spazio per il caporalato, perché se un’azienda si scontra quotidianamente con ostacoli insormontabili causati dalla rigidità della normativa e dalla burocrazia, si può trovare costretta a far lavorare in nero oppure - ma da noi questo non succede -  a rivolgersi a queste pseudo aziende, che offrono il servizio di mediazione. A rimetterci sono i lavoratori, perché si creano situazioni di forte sfruttamento e, come si è visto in questi giorni nelle Langhe, anche di violenza".

L'inchiesta completa su La Fedeltà di mercoledì 17 luglio