Recuperati i reperti trafugati all’Augusta Bagiennorum

Proviene in gran parte dal sito archeologico di frazione Roncaglia a Bene Vagienna, dove nel I secolo a.C. i Romani fondarono l’Augusta Bagiennorum, il bottino che i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio culturale di Torino hanno recuperato e restituito allo Stato. Ne fanno parte 2400 monete “di natura archeologica” fra le quali spicca un solido d’oro dell’imperatore Onorio databile tra il IV e V secolo d.C., due unguentari in vetro e numerosi oggetti bronzei decorativi appartenuti a un corredo funerario sempre di epoca romana, vari elementi architettonici in marmo dell’area dell’Egeo settentrionale e in pietra a loro volta riconducibili all’età romana: tutto materiale che sarebbe stato prelevato nella città augustea. Si aggiunge un sarcofago di tipo “hapax”, della metà del III sec d. C.,  sottratto a Pollenzo.

Lo scorso 19 luglio, al Museo civico di Archeologia storia e arte di palazzo Traversa a Bra si è svolta la "cerimonia di restituzione". Con l’Arma sono intervenuti rappresentanti della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Province di Alessandria, Asti e Cuneo e dell’Amministrazione comunale della città della Zizzola. Si stima che sul mercato clandestino i reperti trafugati avrebbero fruttato 120mila euro.

L’indagine, avviata nel 2020 con il nome "Soffio" e coordinata dalla Procura della Repubblica di Asti, ha portato alla condanna di tre persone – definite insospettabili – per i reati di “ricettazione e impossessamento illecito di beni culturali”: nelle loro case, i Carabinieri hanno trovato, oltre ai reperti poi sequestrati, “attrezzature da scavo”. Il sarcofago è stato custodito – per oltre 5 anni – all’interno di una azienda agricola nel Cuneese, nascosto all’interno di un capanno: secondo gli inquirenti, l’agricoltore che lo aveva portato alla luce era consapevole del suo valore. Per quanto riguarda i reperti provenienti dall’Augusta Bagiennorum, è stata decisiva l’analisi degli archeologi della Soprintendenza che li hanno giudicati “compatibili, per provenienza, con l’area dell’antico teatro romano, risalente al I sec. a.C.”. In sintesi - sottolineano dall'Arma – “le accurate valutazioni da parte dei funzionari ministeriali delle Soprintendenze di Torino, Alessandria, Asti e Cuneo hanno dimostrato l’autenticità di tutti i beni posti in sequestro, in uno con gli elementi indiziari raccolti dai Carabinieri, e hanno consentito alla Procura della Repubblica astigiana di sostenere l’ipotesi di una derivazione illecita conseguente a escavazione clandestina e ricettazione”.

“La restituzione allo Stato italiano – aggiungono sempre dall’Arma – costituisce un’ulteriore occasione di riflessione sulla particolare tutela che legge italiana riserva al patrimonio archeologico. L’ordinamento giuridico penale, riformato a marzo del 2022, prevede che i reperti archeologici, da chiunque e in qualunque modo ritrovati nel sottosuolo o sui fondali marini del territorio nazionale, appartengono allo Stato e a questo devono essere restituiti in mancanza di una idonea e legittima autorizzazione al possesso".