di Clint Eastwood; con Nicholas Hoult, Toni Colette, Chris Messina, Zoey Deutch, J.K. Simmons, Kiefer Sutherland, Leslie Bib, Gabriel Basso, J.K. Simmons, Usa, 2024, durata 114 minuti.
Justin Kemp è un giornalista di una rivista locale, la moglie una maestra in dolce attesa di una bimba e il futuro prossimo pare proprio essere quello di famigliola felice. Un uomo comune, una famiglia comune, ed è forse per questo che Justin viene chiamato a fare parte di una giuria popolare in un processo per omicidio.
L’accusato, James Sythe/Gabriel Basso, già membro di una gang di quartiere, è un giovane balordo con numerosi precedenti per violenza e percosse ed è accusato di aver ucciso la sua compagna lungo la strada dopo una lite in un pub, gettando poi il corpo in un fosso. Il caso sembrerebbe non avere ombre, Sythe incarna il colpevole ideale sia per i dodici giurati che per Faith Killebrew/Tony Colette, ambiziosa avvocatessa dell’accusa disposta a cavalcare la situazione per restare sotto i riflettori e farsi pubblicità per la campagna elettorale a procuratrice distrettuale.
Tuttavia, mentre la procuratrice Killebrew espone i fatti nel tentativo di dimostrare la colpevolezza dell’imputato, Justin, il giurato numero 2, matura progressivamente una diversa verità. Lui quella notte di pioggia di un anno prima era su quella strada, era di ritorno proprio da quel pub, è quel cervo che pensava di aver investito forse non era un cervo…
Dramma di incredibile potenza e suggestione, “Giurato numero 2” è al contempo sia una stupenda sintesi del cinema di Eastwood (da “Grand Torino” a “Mystic river”) che di tanta parte del cinema americano (da “La parola ai giurati” a “Il verdetto” a “Presunto innocente”), considerando il fatto poi che le due cose in realtà coincidono poiché Eastwood è, vuoi come attore, vuoi come regista, una figura imprescindibile del cinema tout-court.
“Giurato numero 2” a 94 anni suonati il regista di San Francisco rivela, ancora una volta, uno sguardo e una capacità di racconto sorprendenti, dove tutto, ma proprio tutto è sempre al posto giusto al momento giusto, dove nulla è lasciato al caso, sia nella scelta dei personaggi – lo sguardo liquido di Justin Kemp/ Nicholas Hoult, l’aggressività e la “fame” di carriera della procuratrice, l’abbozzo di indagine del giurato ex poliziotto Harold – sia nella costruzione delle situazioni – la sequenza della moglie bendata che “scopre” la cameretta della figlia acquistata dal marito e che si dissolve sulla statua della Dea Bendata che deciderà le sorti dell’accusato– nulla è lasciato al caso perché tutto è dominato dal Caso.
La Storia è fatta dagli uomini e non c’è un destino già scritto, una (comoda) verità già assegnata, ma tutto è indagine, ricerca, fino all’ultimo minuto. Il dubbio è ragionevole perché la ragione procede “per tentativi ed errori” e la domanda potente che echeggia lungo tutto il film è se la verità possa coincidere con la giustizia e la giustizia con la moralità perché, come ci ricorda Platone “non c’è giustizia senza equità”. Da non perdere.