La “Terra stondata” di Mariano

In quell’universo affollatissimo, non tanto di lettori quanto di autori, che è la poesia di oggi in Italia, pochi sanno mescolare afflati lirici e ironico disincanto come Beppe Mariano. I suoi versi - riconoscibilissimi per chi ne abbia seguito l’evoluzione lungo i decenni - ci immergono sempre in qualche situazione prosaica, attingendo alla quotidianità; poi, d’improvviso, ci sorprendono, o con una stoccata di sarcasmo, che sembra confermare come un poeta del terzo millennio non possa far altro che denunciare il disastro del mondo senza neppure più stupirsene, o ci fanno vibrare una corda del cuore, ribadendo per contro come l’arte non possa rinunciare del tutto ad essere “umana”. Queste due tendenze - all’apparenza contraddittorie, e che in realtà rendono Mariano uno degli autori più originali fra i contemporanei - sono ben presenti anche nel suo ultimo libro, “Notizie dalla Terra stondata”.

Si consideri la prima sezione, “D’oltremare”, in cui Mariano - un poeta che ha superato gli ottant’anni e che per questo, scrive Alessandro Fo nella prefazione alla silloge, “si sente perpetuamente «sulla chiamata»” - volge lo sguardo ai migranti, spesso giovani, che giungono sulle coste europee. Appunto una migrante, che lavora in un frutteto, sta tornando a casa in bicicletta, “percossa dal vento di macchine/ furenti sul margine della strada, o della vita”, quando viene urtata da un retrovisore: proprio a questo punto, quando ci troviamo in una situazione che possiamo osservare nelle nostre campagne, dalle scapole della “eritrea di efebica bellezza” “due ali spiccano”. Analogamente, alla morte di un homeless picchiato da altri disperati - ecco un’altra situazione di degrado in cui non è raro imbattersi - qualcuno, commosso, vorrebbe offrire “un pasto, un cantuccio caldo” allo sventurato: ma lui già dorme “in terse lenzuola di cielo”. Il “meccanismo” può operare anche in senso opposto - dalla bellezza alla quotidianità meschina, dall’incanto all’amaro disincanto - come nell’incontro con Gaia, che è tale “non solo di nome” e “nelle pause-lavoro aveva un sorriso/ sgocciolante, come un panino di gioia”: a questa immagine dolce e delicata con cui si apre la poesia si contrappone la brutalità del “kapò” che quando la ragazza perde due dita sotto una pressa, le offre un aiuto nient’affatto disinteressato dicendole “Se sarai gentile con me, ti trovo una mansione migliore”. E si può ancora citare, sempre come esempio di questo sguardo che mescola ironia ed empatia, “l’augure che interpretò il volo degli uccelli” e che “uccello è lui stesso diventato/per di più senz’ali”: dopo aver cercato rifugio “in un anfratto vicino a una banca”, l’uomo “astrologa, inascoltato, delle disgrazie/ prossime dell’alta finanza”.

Se la seconda sezione, “Virulenze”, ci porta - come suggerisce il titolo - agli anni condizionati dalla pandemia di Coronavirus, “Compendio scolastico” è una riflessione sul Novecento, il “secolo breve” che non vuol finire. Dopo aver ricordato come il Novecento “secolo breve, brevissimo anzi:/ si è chiuso prima a Hiroshima/ con il massimo raggiungimento:/ più morti di sempre/ nella più piccola unità di tempo”, Mariano commenta con amara ironia quale sia il punto di arrivo di uno dei maggiori miti appunto novecenteschi: “L’invocata velocità futuristica/ si è, trent’anni dopo, realizzata”.

L’ultima sezione, “Secondo Godot”, ci conduce alla guerra di oggi, a Gaza dove le bombe cadono in luoghi già bombardati. Così i bambini morti in un primo raid sono “ogni volta/ nuovamente bombardati”: “ogni volta”, insiste Mariano, “fino a che dei resti/ non resti più niente”.

Infine, qualche considerazione metrica. A margine di un suo libro anch’esso dedicato alla guerra, Giovanni Raboni, uno dei più importanti poeti del Novecento italiano, scriveva della “richiesta di riconoscibilità formale che sempre più la poesia mi sembra rivolgere oggi ai poeti per poter continuare o ricominciare ad esistere”. Mariano non adotta forme chiuse come il sonetto, o altri schemi metrici che abbiamo studiato a scuola confrontandoci con i grandi autori della tradizione italiana, ma nei suoi versi, all’apparenza prosaici e in ogni caso privi di quell’oscurità che oggi è diffusa e non sempre giustificata, si sente eccome il lavoro formale: si sente, ad esempio, nell’uso delle assonanze in chiusura dei suoi testi, che trasmettono ad essi un che di cadenzato, di solenne.

Nato nel 1938, Mariano vive in provincia di Cuneo e ha un forte legame con il Monviso, montagna a cui ha dedicato molti versi; fra i suoi numerosi lavori, da citare almeno “Il seme di un pensiero”, che raccoglie le poesie scritte dal 1924 al 2011. Molti i premi che gli sono stati assegnati e le pubblicazioni in rivista del settore; alcune tesi di laurea sono state dedicate al suo lavoro. “Notizie dalla Terra stondata” è stampato da DiFelice Edizioni, nella collana “Il gabbiere”; è in vendita a 10 euro.