“Il 25 aprile a Fossano è stato solo 5 giorni dopo”

Silvio Pagliero racconta il periodo a ridosso della Liberazione

Se Fossano potesse scegliere per sé una data per celebrare la Liberazione non dovrebbe optare per il 25 aprile, ma per il 30. Solo nell’ultimo giorno di aprile del 1945, infatti, Fossano fu davvero libera. Senza tedeschi, senza brigate nere, senza Cacciatori degli Appennini della Rsi, senza altre formazioni fasciste o antipartigiane e, soprattutto, senza più morti a causa della guerra.

Perché è bene ricordare che nella sola giornata del 26 aprile, quando l’Italia tutta si considera libera, a Fossano si registrano 11 morti.

Li ricorda Silvio Pagliero, figlio e nipote di partigiani, che si è appassionato a quegli anni della storia, della guerra, della lotta, della città e che ha raccolto un importante numero di storie, documenti e testimonianze: “Nella caserma Piave (in via Centallo, attuale sede del 43o Guastatori, ndr) c’erano circa 200 tedeschi, sì in procinto di andarsene, non solo con i pericolosi carri armati Tiger ma anche con mezzi di fortuna, dai carretti alle biciclette sequestrati ai fossanesi. Ma erano ancora lì. E da Fossano sarebbero passati tanti tedeschi e fascisti in fuga, passando dal ponte di San Lazzaro, che si era ricevuto l’ordine di ripristinare (praticamente l’unico in zona) tramite lavoratori coatti controllati dai Cacciatori degli Appenini”.

“Aldo dice 26x1” è la frase del telegramma diffuso dal Clnai, indicante il giorno 26 e l’una di notte per dare inizio all’insurrezione. Milano era stata liberata il 25 aprile, ovunque le persone scendono in piazza anche a festeggiare. Anche a Fossano, in via Roma. Dalla Piave partono alcune pattuglie per controllare la situazione, qualche partigiano si posiziona in punti strategici per “proteggere” chi festeggia in via Roma. Alla fine della giornata i morti sono 11 e non solo partigiani o persone ritenute tali, ma anche - ad esempio - una famiglia che stava pregando vicino al carcere, dove scoppia una bomba, un anziano che portava il latte, un tecnico dell’Enel al lavoro.

I civili provano a trattare con i tedeschi, ma senza risultati. “Così, con l’auto e sventolando bandiera bianca, il vescovo (allora era mons. Borra, ndr), don Rinaldo Avetta e la moglie di Vendrasco - che era stato arrestato dalle Brigate nere e poi fucilato - e che faceva da interprete, bussano alla porta della Piave. Parlano con un comandante prussiano per circa un’ora”.

Non si sa esattamente cosa si dicono, ma in sostanza i tedeschi assicurano: “Ce ne andremo, a patto che non ci siano imboscate a nostro danno, che sia mantenuto il coprifuoco in città e che si concluda il ponte di San Lazzaro”. Così si fece. Il 27, il 28 e il 29 aprile i fossanesi rimasero chiusi in casa. C’era un ordine, forse non scritto, “di non stuzzicare i tedeschi. Le vicende drammatiche come l’eccidio di Genola avrebbero potuto verificarsi anche qui”. Per fortuna non accadde, anche se complessivamente durante il periodo della guerra i morti sono stati comunque troppi, circa 450 persone.

Dal 30 aprile Fossano può davvero dirsi libera.