Genitori e figli: come educare all’affettività in modo adulto

Dal confronto sincero e competente con le domande del pubblico e del nostro giornale, è scaturita questa intervista a suor Roberta Vinerba.

“Non mettete mai i figli prima del coniuge, ma state più spesso tra voi, marito e moglie”. È di idee molto chiare e dalla parola molto schietta suor Roberta Vinerba, francescana, collaboratrice della pastorale giovanile di Perugia, teologa moralista e giornalista (tiene una regolare rubrica sugli adolescenti su “Noi genitori e figli” di Avvenire). Intervenuta a Fossano per l’incontro della pastorale familiare il 16 marzo scorso, ha condiviso con il pubblico la sua esperienza personale di adolescente, fino ad essere a fianco dei giovanissimi, nella sua lunga e maturata attività pastorale. “Quando mi chiamano a parlare sui figli, io parlo invece della coppia; è sempre lei che funziona o non funziona in relazione alle loro problematiche”. La più grande lezione di sessualità? “Mai portare i figli nel lettone, mai! Può essere il premio una tantum perché si sta male ed è consolatorio, o è domenica mattina e si gioca insieme. Ma non portatevi mai nessun figlio, di nessuna età. Anche se questo significa farli continuare a piangere. Perché l’intimità della coppia è sacra, e la camera da letto matrimoniale dev’essere sempre chiusa; loro devono bussare per sapere se possono entrare oppure no. Non possono farlo a proprio piacimento, perché devono sapere fin da quando sono piccoli che quello è un luogo sacro, il santuario della casa. Con il rispetto (e non il timore), per il luogo in cui il papà e la mamma si scambiano il loro amore”.
Dal confronto sincero e competente con le domande del pubblico e del nostro giornale, è scaturita questa intervista.
Secondo lei non siamo un po’ tutti figli del moralismo della Chiesa cattolica, che ci ha spinti verso un atteggiamento di paura nei confronti della sessualità, per cui ne portiamo ancora ora le conseguenze?
Siamo figli di una cattiva interpretazione di un pensiero cattolico, per cui sono forse emersi più i “no” rispetto alle opportunità che si nascondono dietro ai “sì”. Quindi è stato senz’altro fatto un cattivo servizio, ma non certo a livello di insegnamento magisteriale, che è stato invece sempre molto chiaro. Poi, certamente, nelle traduzioni culturali delle comunità ecclesiali è mancata una visione più riconciliata, più positiva, più evangelica del tema.
Se vogliamo confrontarci con altre culture più di influenza protestante, c’è un abisso, rispetto alla nostra, sul modo in cui viene considerata la sessualità. Per esempio non c’è un corso, in ambito ecclesiale cattolico, rivolto ad un operatore che voglia diventare educatore sessuale tra i giovani.
Premetto che in questo ambito la chiarezza che c’è nella Chiesa cattolica non c’è in altre chiese. Però è altrettanto vero che la formazione di cui lei parla, che chiamerei piuttosto educazione all’affettività (e che è necessaria), manca proprio. Siamo senz’altro in ritardo. Prima di tutto il nostro, in quanto persone, è un bisogno di amore, non di sesso. I sistemi educativi odierni sono perciò sistemi imbecilli, perché pensano che la prima domanda dei giovani sia come si metta e si usi il preservativo. La loro domanda è invece affettiva e non si identifica con i programmi di educazione sessuale. Hanno bisogno di intimità, di tenerezza, di conferma d’esserci; e pensano che la via più rapida e semplice per soddisfare questo bisogno passi attraverso il corpo e il rapporto sessuale. Bisogna però che gli adulti che operano con i giovani cerchino strumenti per diventare esperti d’amore.
Ma gli adulti non sono sempre punti di riferimento...
Se coloro che dovrebbero essere un riferimento, alla vera domanda d’amore degli adolescenti danno una risposta del tipo “va’ dove ti porta il cuore”, è chiaro che il loro cuore li porterà… nei bagni delle scuole. Allora qui si tratta di capire che c’è un amore che ci permette di non morire, che porta il cuore là dove è bene. Invece noi adulti li lasciamo da soli nel mare dei sentimenti, lasciandoli credere che il sesso sia la risposta d’amore. Siamo una generazione di adulti completamente smarriti, figli del “vietato vietare”, del sistema educativo “troverà da sé la strada”, del “se ti va fallo, l’importante è che non sei costretto”.
Si può cogliere differenze tra i giovani che frequentano e quelli che non frequentano una parrocchia?

I ragazzi della parrocchia hanno una speranza, che non perdono quando rallentano o deviano la strada della vita. Ma le stupidaggini le fanno anche loro.
Oggi la nostra società è sempre più interculturale e i giovani stranieri vivono il contrasto drammatico tra la cultura italiana in cui vivono e quella della famiglia da cui provengono, con le loro tradizioni da cui non possono allontanarsi (anche quando si tratta di casi di matrimoni combinati già nell’età infantile). Di fronte a queste tensioni cosa può dire la scuola? Come aiutarli?

Bisogna valutare caso per caso, soprattutto se ci sono strumenti giuridici, di protezione per minori. Bisogna vedere la cultura di appartenenza com’è veramente. Certamente se è una cultura che umilia il soggetto, non si può chiamare cultura, e si possono anche tentare strumenti giuridici per proteggerli. Facendo però attenzione a non considerare il nostro modo di vivere come l’unico modo possibile, mettendosi, se necessario, come italiani, anche in discussione.
La scuola ha degli strumenti che dovrebbe ancora cambiare, per potersi mettere in discussione?
La scuola dovrebbe cambiare per essere un luogo di relazioni e di cura, e non solo di informazioni e di nozioni. Ma non è così. C’è bisogno di aiutare gli insegnanti a rimotivarsi, affinché siano professionisti, e stimati come tali. Bisogna che ci sia una meritocrazia tra gli insegnanti, e che l’insegnante venga giudicato anche dagli studenti per quello che fa. Insomma, c’è molto da rivedere in proposito.
Cosa ne pensa dell’educazione sessuale nelle scuole?
I genitori hanno il dovere e la libertà di firmare o non firmare, verificando il programma che viene svolto (tenendoli anche a casa se il contenuto di questo non piace). Anche perché ognuno dev’essere libero di educare i figli nel modo che vuole. E come cristiani ancora di più, perché tale educazione significa dare gloria a Dio attraverso la bellezza della sua opera, che è la meraviglia del corpo umano! La quale si esprime anche nel desiderio sessuale, un capolavoro. E ci dobbiamo vergognare di questo? No, ed ecco perché ritorno a puntare sulla coppia, affinché sappia parlare ai figli attraverso il linguaggio fatto di gesti, capace di esprimere ancora emozioni e sentimenti.