L’Argentina festeggia il “Bicentenario dell’Indipendenza”

I vescovi hanno presentato, il 12 maggio, a Buenos Aires il documento “Bicentenario dell’Indipendenza. Tempo per l’incontro fraterno tra argentini”

È stato presentato giovedì 12 maggio, nel corso di una conferenza stampa tenuta a Buenos Aires, in Argentina, il documento “Bicentenario dell’Indipendenza. Tempo per l’incontro fraterno tra argentini”, approvato dalla Conferenza episcopale argentina (Cea) in occasione dell’Assemblea plenaria dello scorso mese di aprile. “Queste pagine che rendiamo note sono pensieri che desideriamo condividire per stimolare il dialogo a partire da un evento storico che ci ha fatto nascere come Nazione e che, a sua volta, ci induce a riflettere su che tipo di Paese vogliamo essere”, affermano i vescovi nell’introduzione del documento presentato dal presidente della Cea, monsignor Jose Maria Arancedo, dal vicepresidente, cardinale Mario Aurelio Poli, e dal segretario, monsignor Carlos Malfa.

Casa comune. Il documento è suddiviso in cinque capitoli. Nel primo, dal titolo “Una giusta e attesa riparazione della memoria”, la Chiesa propone di “rivolgere lo sguardo su quella prima generazione di argentini che, interpretando un autentico sentimento di libertà dei popoli che rappresentavano, assunsero la grave responsabilità di orientare gli ideali americanisti”. “Dei ventinove deputati che firmarono l’Atto d’indipendenza, diciotto erano laici e undici sacerdoti – ricordano i vescovi – e tutti erano concordi nel difendere principi etici ispirati all’umanesimo cristiano”. Alcuni pensieri sono dedicati nel documento alla “casa comune” che formano gli argentini e che ha per simbolo la storica casa di Tucumàn dove si riunirono i congressisti per decretare l’indipendenza nel 1816: “una casa di famiglia”, “una casa prestata che rapidamente divenne la casa comune, la casa di tutti, per deputati provenienti da lontane regioni che in poco tempo si ritrovarono fratelli”. Questa casa storica “che non ha lasciato fuori nessuno” ha indotto i vescovi a invitare a una riflessione sulla situazione dei popoli originari e sulle promesse mai mantenute: “L’indipendenza raggiungerà pieno vigore quando la famiglia argentina più emarginata disporrà di una degna dimora dove abitare, adeguata assistenza sanitaria e educazione e lavoro onesto per i genitori”, si legge nel documento.

“L’ideale di vivere l’Argentina come una grande famiglia, dove la fraternità, la solidarietà e il bene comune includano tutti coloro che sono pellegrini nella sua storia rimane ancora molto lontano”, affermano i vescovi, che ricordano: “Province senza risorse e famiglie povere senza casa, con molti argentini sull’orlo o fuori dal mondo del lavoro, non riflettono le aspirazioni federali dei congressisti di Tucumàn”.

Per una vita democratica. Nel secondo capitolo, dal titolo “Organizzare la casa comune”, i vescovi parlano del significato di concetti come democrazia, bene comune, popolo e politica: “Per costruire una vita democratica di inclusione e integrazione richiede l’impegno di tutti. E sebbene questa è una responsabilità di ognuno ma specialmente dei dirigenti”.

“Il principale dei nostri mali è lo scontro che non consente di riconoscerci quali fratelli e a ciò fa seguito la corruzione generalizzata, la piaga del narcotraffico e la non curanza dell’ambiente”,

si legge nel terzo capitolo ( “Alcuni mali della casa comune”). “Questi sono alcuni esempi che evidenziano che la grande famiglia degli argentini è in pericolo e che la casa che condividiamo può disfarsi”.

Formare ai valori. Per curare la casa comune, affermano i presuli nel quarto capitolo (“Indipendenza e educazione”), si deve sviluppare un processo educativo che formi gli argentini ai valori, rendendoli capaci di riconoscere i loro errori e sviluppi in ciascuno di loro le virtù civili che conformano una rete di stabili impegni. Nella tradizione educativa argentina ha avuto un ruolo fondamentale la scuola pubblica gestita dallo Stato, offrendo a milioni di argentini un’educazione di qualità ed è augurabile che lo sia sempre di più. “Auspichiamo – sostengono i vescovi – il consolidamento di quella formazione e il suo recupero a tutti i livelli, in modo da poter garantire che tutti accedano e rimangano nel sistema educativo con uguali opportunità fino a raggiungere i livelli superiori”.

I presuli parlano anche della proposta educativa cristiana come il più genuino e prezioso contributo che può offrire la Chiesa ai fini di una società nuova e una patria veramente libera.

Nell’ultimo capitolo del documento i vescovi ribadiscono che hanno voluto trovare nella casa storica di Tucumàn una metafora della casa comune che è il Paese. “Per noi – affermano i presuli – la Patria è un dono di Dio, un dono del suo amore che siamo chiamati a curare e a sviluppare. Questa casa comune la dobbiamo costruire tra tutti attraverso un dialogo attivo che cerchi consensi e propizi l’amicizia sociale verso una cultura dell’incontro”. A conclusione, ritengono providenziale che in quest’anno del Bicentenario “due figli della nostra terra , la venerabile Maria Antonia de la Paz y Figueroa e il beato Jose Gabriel del Rosario Brochero, siano proclamati dalla Chiesa, beata e santo rispettivamente”.