Un incoraggiamento all’Unione europea dall’Olanda

L’Olanda è un piccolo-grande Paese d’Europa.

Piccolo per le sue dimensioni demografiche che non raggiungono 17 milioni di abitanti e piccolo per le dimensioni geografiche, su terre coraggiosamente contese al Mare del Nord. Ma è anche un Paese grande per la sua storia, per la sua intensa vita culturale e artistica (qualche nome fra tanti: Erasmo da Rotterdam, Baruch Spinoza, Rembrandt, Vincent Van Gogh), per la sua proiezione commerciale nel mondo e per il suo protagonismo in Europa.

L’Olanda è stata uno dei sei Paesi fondatori della prima Comunità europea, dopo essere stato vittima dell’occupazione nazista nella Seconda guerra mondiale, nonostante la sua politica di neutralità, e dopo aver sperimentato fin dal 1948 un’unione doganale con Belgio e Lussemburgo, insieme antesignani di una Comunità diventata poi di 28 Paesi.

Membro attivo del processo di unificazione europea ne ha segnato, con la Francia, un’infelice battuta d’arresto quando il 1° giugno 2005 un referendum olandese contribuì ad affossare il progetto per una Costituzione europea, già ferita a morte dal referendum francese.

Oggi, diciassette anni dopo, una scena analoga sembra presentarsi in Europa. Di nuovo, a breve distanza di tempo, Olanda e Francia sono chiamate a elezioni che possono decidere del futuro dell’Unione Europea: il 15 marzo le elezioni politiche olandesi e, tra aprile e maggio, le elezioni presidenziali francesi. In entrambi i casi con l’incubo di un’avanzata del nazional-populismo xenofobo, interpretato in Olanda da Geert Wilders e in Francia da Marine Le Pen.

Il verdetto olandese è noto: la destra nazional-populista guadagna cinque seggi, si posiziona come secondo partito ma non sfonda come si temeva; il partito liberale che guida il governo perde dieci seggi ma resta il primo partito, la sinistra tradizionale crolla e i verdi quadruplicano la loro presenza in Parlamento, risultando la vera novità vincente. In conclusione: la diga filo-europea regge, ma la marea euroscettica preme ancora e il futuro dell’Europa non è ancora al sicuro. 

Fra poco più di un mese conosceremo il verdetto francese, di gran lunga più decisivo che non quello olandese per il futuro dell’UE. Non solo per le dimensioni demografiche della Francia, ma soprattutto per la sua storia in Europa e il ruolo svolto a lungo di perno centrale del processo di integrazione continentale grazie all’asse portante, fino a qualche tempo fa, con la Germania.

Il sistema elettorale francese, con doppio turno per il voto alle presidenziali, ha finora impedito – diversamente di quanto avviene nelle elezioni politiche e in quelle europee – alle componenti estreme dell’arco costituzionale di conquistare la vittoria, grazie alle aggregazioni anche molto eterogenee tra destra moderata e sinistra, chiamate a mettere in salvo i valori democratici della “République”. Così è andata in passato, quando nel 2002 Jacques Chirac, centro-destra, venne eletto presidente della Repubblica con il voto decisivo delle sinistre, per fermare un altro Le Pen, Jean-Marie, padre della Marine in corsa oggi verso lo stesso traguardo, oggi con qualche probabilità in più di quante ne ebbe il padre nel 2002.

Non è detto che a maggio, in occasione del ballottaggio che vedrà il probabile duello con Marine Le Pen, il passato si ripeta. La Francia viene da un lungo periodo di declino economico e politico, di cui è stato simbolo il presidente François Hollande e il partito socialista francese, oggi in preda a convulsioni interne e vittima della maledizione delle divisioni della sinistra. E’ improbabile che sia un rappresentante di quest’ultima a sfidare Marine Le Pen; più probabile che tocchi al candidato di un centro-sinistra anomalo, Emmanuel Macron, senza partiti alle spalle o al rappresentante della destra, François Fillon, ammaccato da pesanti inchieste giudiziarie. Dopo la sorpresa di Trump negli USA, non si possono escludere altre sorprese in Francia, vista la debolezza e le divisioni dei contendenti dell’area democratica.

In gioco non ci sarà solo la presidenza della Repubblica francese, ci sarà anche il futuro dell’euro, dell’UE e quindi di tutti noi.