A Mondovì dieci artisti nel segno dell’astrazione

Fino a domenica 23 settembre, presso gli aulici spazi dell’antico palazzo di città a Piazza

Mondovì, presso gli aulici spazi dell’antico palazzo di città a Piazza, da martedì 1 a domenica 23 settembre, è in corso una rassegna che, con il titolo “Nel segno dell’astrazione”, vede  raccolte opere di Francesco Franco, Gianni Bava, Cesare Botto, Francesco Russo Burot, Bruno Capellino, Dario Dutto, Giovanni Gagino, Gabriella Malfatti, Paola Meineri Gazzola, Ornella Pozzetti.
Un gruppo  abbastanza eterogeneo che preferirei definire piuttosto qualificabile “nel segno della pittura aniconica”. Del resto, lo stesso curatore della mostra Remigio Bertolino nel saggio introduttivo indirettamente conferma  la mia affermazione quando scrive: “Nella nostra provincia perdurano nuove interpretazioni del canone figurativo. Percorsi coerenti e originali sono quelli di E. Briatore, N. Baudino, T. Terreno. Due artisti che hanno condotto il figurativo ad una sorta di visione metafisica sono Gianni Del Bue e Livio Politano. Un drappello di pittori ha traghettato il figurativo verso soluzioni surreali od espressioniste, come il vicese Teiler o il cuneese Grappiolo. Dall’altro ‘côté’ abbiamo la vocazione verso le forme dell’arte astratta. Un artista che ha scardinato, negli anni ’50, le vecchie ed abusate forme pittoriche della provincia è stato l’albese Pinot Gallizio, un faro che ancora proietta la sua luce sulle esperienze informali. I pittori che seguono la linea dell’astrazione, rifiutano nettamente di rappresentare la realtà con immagini mimetiche, ma cercano di dar vita a forme autonome in cui colore, linee, superfici compongono una sorta di sinfonia della materia. Ricerche esemplari sono state condotte dall’albese Accigliaro, dal cuneese Botto e dal monregalese Corrado Ambrogio. Una sfida titanica sulla traduzione della musica in segno e colore è stata condotta da Gabriella Malfatti con esiti di raffinata poesia. Vi sono poi alcuni pittori che si tengono sul discrimine, sempre in bilico tra astrazione e figurazione. Un esempio tra tutti credo possa essere quello del cuneese Giovanni Gagino e del cebano Tanchi Michelotti che, da sempre, conducono una ricerca rigorosa basata su sintesi ardite e sulla forza ‘lirica’ del colore. Citerei il solo caso di Francesco Franco, fin dai primi anni Sessanta, ad aver sperimentato le due vie, con una esemplarità da vero maestro”.
Una mostra che prenda in considerazione le testimonianze lasciate tra noi da chi ha scelto in maniera aniconica non poteva tralasciare di ricordare Francesco Franco che, come dice ancora Bertolino, “ora che è scomparso la sua opera ci appare una pietra miliare, la luminosa traccia di un maestro, un percorso quanto mai esemplare e originale nell’arte grafica del XX secolo”.
In realtà la sua attività artistica si è mossa sia sul fronte della figurazione (e non poteva essere altrimenti per un artista cresciuto a contatto con Felice Casorati) che su quello della pittura aniconica; con la preparazione intellettuale che lo caratterizzava, nell’intimo prediligeva quest’ultima sentendo in sè l’urgenza di fuggire da una visione dell’arte che considerava in via  di superamento, mentre sentiva impellente la necessità di rendere “visibili” sensazioni, sentimenti e pensieri usando una cifra al tempo stessa armonica, rarefatta ed equilibrata (come ha dimostrato bene in tanti fogli incisi, penso a “Maelstrom”, e in tanti pastelli ed acquerelli realizzati sul finire del secolo scorso ed all’inizio del presente durante i soggiorni a Ouessant).
Con lui in mostra anche un fossanese, come lui scomparso, e cioè Giovanni Gagino. Egli, avviatosi alla pittura in forma autodidatta, fin da bambino ha dapprima coltivato il tema del paesaggio, soprattutto quello di Langa, e quello della natura morta per passare poi, all’inizio di questo secolo ad una sintassi pittorica che ha segnato una svolta verso la pittura aniconica (mentre per altro aspetto provava anche la scultura, la ceramica e le terre). C’è un secondo fossanese in mostra ed è Dario Dutto il quale,dopo un primo approccio al mondo della pittura  legato ad un figurativo tradizionale, accosta una esperienza di “meditazione” sulla scultura (che egli intendeva come aiuto a sottrarsi al quotidiano lavoro di artigiano del legno); in pittura poi abbandona ogni riferimento al reale per avviarsi ad una ricerca artistica che si esprime in forme geometriche: tele, composizioni e sculture realizzate con materiali poveri, dagli scarti di lavorazione del legno ai ritagli di stoffa caduti dalle mani dei sarti, ai residui ferrosi delle spugne o pagliette di ferro e ad altri materiali riciclati, suggestionato forse anche dall’osservazione dell’opera di Costantin Brancusi...
Ci sono poi altri sette artisti e tutti meriterebbero spazio (che però è tiranno); non posso però non ricordare l’opera di una monregalese-cuneese, Paola Meineri Gazzola, che si esprime in particolare con i pastelli e che vi presenta un bel gruppo di opere che intrigano e suggestionano, ed un secondo monregalese, Bruno Cappellino, che vedo con interesse per la seconda volta dopo averlo incontrato lo scorso anno proprio a Mondovì in Santo Stefano.
Di altri, come Cesare Botto, Gabriella Malfatti e Francesco Russo Burot ho scritto altre volte ed a quello rimando mentre vedevo per la prima volta Gianni Bava e Ornella Pozzetti per i quali rimando al testo di Remigio Bertolino in catalogo.
Mostra visitabile soltanto fino a domenica 23 settembre(come detto sopra), tutti i giorni dalle 16 alle 19.