Essere artisti oggi

“Abbiate la voglia di andare fino in fondo, e non lasciatevi scoraggiare mai se volete veramente una cosa”

Nome: Corinna Gosmaro; età: 31 anni; professione: artista. Ma cosa significa essere artisti? Lo abbiamo chiesto a Corinna, che vive oggi tra Parigi e Roma e che ha visto nella sua giovane carriera già una bella fetta di mondo con mostre ed esposizioni internazionali. Cresciuta a Genola, è legata a Fossano dagli anni degli studi, fino alle Medie. Poi, il liceo Artistico a Cuneo, alcuni anni di Matematica all’università e la folgorazione definitiva per l’arte che l’ha portata a iscriversi all’Accademia Albertina di belle arti di Torino. 

Corinna, come si diventa artisti?

Una vera strada non c’è; la regola è che non ci sono regole. Ognuno può fare tutto e il contrario di tutto. Lo si diventa con la caparbietà di volerlo diventare, essendo riconosciuti dal mondo dell’arte ed essendo molto curiosi. Curiosi di capire cosa sta succedendo nel sistema artistico contemporaneo, e quando dico contemporaneo non dico Pollock, Manzoni o simili, ma dico gli artisti di oggi che lavorano e producono tutti i giorni!

Conta conoscere qualcuno di importante?

Nessuno è davvero importante, cioè, sì, ci sono le star, ma… quello che conta davvero è fare domande, domande, domande! Chiedere a qualcuno come fa ad avercela fatta, cosa sta facendo e su cosa indaga, insomma, cosa produce. Bisogna stare dove le cose accadono, e non saziarsi mai.

E tu hai sempre avuto “fame” d’arte?

Io ho iniziato fin da giovanissima a produrre, e mi sono sempre mantenuta lavorando, sacrificando spesso i sabati e le domeniche. Lavoravo nel week end in un centro commerciale, e in settimana mi dedicavo allo studio. Ma sempre di più lo studio “artistico” prendeva il sopravvento sulla mia carriera universitaria, allora ho deciso di congelare gli esami e iscrivermi all’accademia. Beh, sì, quella è stata la svolta: ho iniziato a muovermi nel mondo delle gallerie, delle mostre, dei contatti coi curatori… Per fortuna sono sempre stata molto determinata e la mia famiglia mi ha sempre supportata, moralmente intendo, perché vengo da una famiglia come tante…

Com’è la vita dell’artista?

Un po’ randagia, perché viaggi tanto e devi parlare le lingue. Devi rinunciare a quelli che la società imporrebbe come “confort”: un posto fisso, una famiglia, un logo certo in cui vivere… Alcuni poi ti dicono: “Vabbè, ma quello è un hobby, mica un lavoro!”. Invece credo proprio che sia il lavoro più bello del mondo, perché ti permette di studiare tantissimo… studiare fino alla fine dei tuoi giorni.

Ma l’artista ha delle “antenne privilegiate” sul mondo?

Mah, non direi. Certamente ha una predisposizione alla sensibilità e all’analisi, ma il resto è frutto di lavoro ed esercizio. Di studio. Del resto io ho la fortuna di passare, per lavoro, le mie giornate a pensare a cosa sta succedendo…

E cosa sta succedendo?

Beh (ride, ndr), non posso proprio dirvelo perché non finirei più di parlare di cose brutte!

Ma vi posso dire su cosa sto lavorando…

Raccontaci…

Mi sto occupando del cambiamento di percezione della morte, che è di conseguenza cambiamento di percezione nella vita, nella storia dell’uomo. Oggi la morte non viene più manifestata al cimitero, ma sui social. In più c’è il fenomeno dell’elusione della morte: dei facoltosi si stanno già attrezzando per acquistare potenti server che rispondano come se un essere umano fosse ancora in vita, tarati sulla propria personalità, per dare l’apparenza di essere vivi anche dopo la morte…

Come sviluppi questi concetti?

Cerco oggetti o situazioni, prevalentemente oggetti presi da differenti epoche storiche e sistemi percettivi, per farli dialogare e per sottolineare che certe cose non cambiano mai: piccoli spostamenti percettivi che sono importanti per capire come funziona la memoria dell’essere umano.

Hai lavorato in questo anche col Museo Egizio, vero?

Sì, a Torino, sulle palette cosmetiche dell’era predinastica. Piattini di uso quotidiano, abbelliti con pigmenti di pietre utilizzando forme zoomorfe. Stiamo parlando dell’era che precede i faraoni, subito dopo il Neolitico. Anni in cui l’unica cosa davvero importante era procurarsi il cibo, anche se invece queste prime forme d’arte ci dicono tutt’altro… Perché sono oggetti belli, diventati parte del corredo funebre: passati da uso quotidiano a oggetti d’uso rituale. Questi sono diventati poi simbolo di status sociale e di moda, ci hanno scritto sopra i primi geroglifici raccontando storie. Poi i faraoni hanno trasformano le palette in uno strumento di potere che solo le persone di un certo ceto potevano avere, tant’è che l’archeologia studia attraverso di esse proprio l’ascesa dei faraoni e la costituzione delle prime forme di società. Io per analogia lavoro coi Dibond (pannelli di alluminio con anima in polietilene e verniciatura superficiale a base poliestere, ndr) che sono oggetti d’uso quotidiano per la nostra epoca, che dialogano coi reperti attraverso immagini dipinte o vettorializzate, riproposte o rielaborate.

Come sei riuscita a lavorare col Museo Egizio?

Mi sono messa in contatto con loro, molto semplicemente: ho chiesto. Il messaggio che voglio dare è esattamente questo, rompete le scatole, chiedete, abbiate la voglia di andare fino in fondo e non lasciatevi scoraggiare mai, se volete veramente una cosa.

Com’è la tua giornata tipo?

Mah, ci sono giorni in cui studio e altri in cui lavoro e basta, dipende. L’ispirazione? Beh, se non c’è bisogna farla arrivare (ride, ndr).

Perché se no, non si mangia, giusto?

Sì, certamente fare l’artista è un lavoro, soprattutto. Per fortuna ci sono le residenze artistiche, che ci permettono di riuscire a lavorare inserendoci nel sistema, facendoci conoscere e scoprendo posti e persone nuove. Poi, entri nel circuito delle gallerie, inizi a vendere e pian piano riesci a vivere del tuo lavoro. Poi, io ho avuto anche la fortuna di vincere un premio importante come “6 artista” che mi ha dato buona visibilità.

I tuoi genitori cosa dicono?

Sono contenti. Mamma forse si preoccupa, perché non mi risposo abbastanza… stai tranquilla mamma!

Ma alla fine l’arte, che cos’è?

Non saprei. Certamente, beh, è quello che sono… quello che faccio!