Michele Baretta a Racconigi

Una mostra postuma a cento anni dalla nascita dell'artista.

Si è inaugurata sabato 12 novembre presso il castello di Racconigi una nuova mostra postuma dedicata a Michele Baretta a cento anni dalla nascita, mostra che resterà visitabile ad ingresso libero fino al prossimo 11 dicembre..

Come è scritto nella velina del comunicato stampa, si tratta di un “artista che nel secondo dopoguerra ha saputo coniugare tradizione e modernità, la rappresentazione realistica di derivazione ottocentesca con una facilità di disegno ed una spontanea sensibilità, realizzando opere di eloquente poetica. Nei delicati ritratti infantili , nelle figure femminili, ma anche nei paesaggi e nelle nature morte l’artista ha narrato con profonda umanità la vita degli umili e la bellezza della Natura”. 

In passato Baretta è stato definito un “artista eclettico” ed, a mio sommesso parere, una siffatta definizione è altamente fuorviante in quanto non coglie assolutamente quella che è stata la cifra caratteristica di questo artista, maturato alla scuola “del Reffo” e che ha poi sviluppato la sua espressività evolvendo in maniera coerente ma senza mai tradire le sue basi di partenza. Quindi in questo senso assolutamente non eclettico in quanto (come ci insegna il vocabolario italiano) per “eclettico” si intende “chi, nell’arte o nella scienza, non segue un determinato sistema o indirizzo, ma sceglie e armonizza i principî che ritiene migliori di sistemi e indirizzi diversi” e, quindi,  inteso in un senso riduttivo che non rispetta quella che è stata la personalità artistica di un autore come Michele Baretta.

Chi conosce l’iter di questo artista, sa bene che egli è stato una figura di rilievo nel panorama culturale del Novecento piemontese, ottimo colorista e disegnatore raffinato che si è espresso sempre con grande sensibilità nelle più svariate tematiche in cui egli ha operato, dai ritratti femminili ai paesaggi, dai cavalli alle scene circensi e alle nature morte senza dimenticare i temi sacri con i quali si è cimentato tantissime volte e dove ha lasciato una delle sue testimonianze più significative. 

Nato nel 1916, frequentò giovanissimo quella che era stata, presso il Collegio degli Artigianelli torinese, la “scuola del Reffo” allievo di Luigi Guglielmino, notoriamente una scuola molto attenta ai temi della pittura sacra. 

Più tardi in maniera autodidattica apprese la tecnica dell’affresco. Venne poi ammesso nel 1933 ai corsi dell’Accademia Albertina a cui rivolse scarsa attenzione tanto da non completare gli studi

Proprio nella pittura sacra lavorò moltissimo in varie località piemontesi e, per certi versi, il suo modus operandi ricorda l’esperienza artistica di un pittore suo coetaneo, Trento Longaretti, che probabilmente Baretta ebbe modo di conoscere magari non di persona ma attraverso le sue opere.

Accanto alla pittura sacra nelle chiese e negli ambienti ecclesiastici, da subito Baretta si dedicò alla pittura cosiddetta “di cavalletto”  ma soltanto nel 1943 tenne la sua prima mostra a Pinerolo e qui, nei primi anni, il legame alla tradizione paesaggistica piemontese è evidente ancorché egli si esprima da subito con una forte caratterizzazione personale.

Più tardi, dalla metà degli anni cinquanta del secolo scorso all’incirca, già mostra di imboccare un percorso espressivo decisamente personale, frutto forse anche di una meditazione sulla lezione che a Torino aveva portato un artista come Luigi Spazzapan a cui sembra guardare per qualche istante ma distaccandosene subito per proseguire con una sua cifra che lo caratterizzerà fino al termine della sua esperienza.

Con molta acutezza Marziano Bernardi ha scritto che “questo schietto e aristocratico paesista si è fatto da sé, e si è fatto bene. Lavorando su una linea di rappresentazione realistica di derivazione, diciamo così, ottocentesca, ha saputo trovare un linguaggio sciolto e agile personalissimo, rapido nei tocchi, pronto nel racconto. La sua resa pittorica sta tra modi piemontesi e modi lombardi”, per aggiungere poco dopo che “egli dipinge con un fervore, con una foga di pennellata che tuttavia non confonde mai l’esattezza della visione, non compromette mai la delicatezza dei toni, la finezza delle trasparenze. Ed anche nella figura dimostra una padronanza di mezzi che sorprende in un pittore così sottilmente interprete del paesaggio”.

Luigi Carluccio poi ha sottolineato “la nitidezza della percezione, la limpidezza con cui prende pittoricamente possesso della natura. La sua è una sensibilità piuttosto descrittiva, che s’esprime minutamente con una grafia quasi filigranata, e ricorda la tela di ragno nella trama, sulla quale, qua e là, s’aggrumano note di colore purissimo, verdi veronesi, cobalti, garanze e gialli che dan la chiave cromatica del dipinto”. 

Bastano questi due giudizi per inquadrare un artista immaturamente scomparso ma che ha lasciato una traccia profonda nella vita artistica piemontese e italiana. 

Adesso, questa nuova rassegna antologica, a cento anni dalla sua nascita, ci conferma delle sue altissime qualità, ancorchè molte delle sue opere più significative facciano ormai parte di collezioni pubbliche e private e quindi sottratte in genere alla possibilità di rivederle in una esposizione come quella racconigese. Una mostra che, come già ricordato, è visitabile fino al prossimo 11 dicembre.

Baretta Michele opera “Bianco su bianco” (in alto)

 

Baretta Michele opera “Nastro rosso” (a lato)