Albino Luciani – 2

Testimoni del Risorto 29.11.2017

Gli anni a Vittorio Veneto richiedono anche al vescovo Luciani di tener “testa a un crack finanziario che coinvolge la sua diocesi, assumendosi ogni responsabilità per l’operato di alcuni sacerdoti”, come anche di “difendere la sua autorità episcopale con grande fermezza provocando il cosiddetto «scisma di Montaner» (una piccola parrocchia che pretendeva di sostituirsi al vescovo nella scelta di un nuovo parroco)”. Sono però anche gli anni del Concilio, che egli vive con grande apertura e disponibilità, lasciandosi mettere in discussione al punto da poter candidamente affermare: “Il Concilio mi ha obbligato a farmi ancora studente e a convertirmi anche mentalmente”. Ritorna in diocesi con un patrimonio da metabolizzare e condividere, con alcuni interrogativi e tante proposte da far assimilare. Appare ora quasi incredibile che, all’indomani del Concilio o forse proprio alla luce di questo, nel cuore del vescovo Luciani si agitino interrogativi ancora oggi di stretta attualità e citati dal giornalista Roncalli, ad esempio circa le cosiddette coppie di fatto (“Tutelata una volta la famiglia legittima e fatto ad essa un posto d’onore, non sarà possibile riconoscere con tutte le cautele del caso qualche ‘effetto civile’ alle ‘unioni di fatto’?”) oppure sui luoghi di culto non cattolico (“Ci sono 4.000 musulmani a Roma: hanno diritto di costruirsi una moschea. Non c’è niente da dire: bisogna lasciarli fare”). A fine 1969 arriva la designazione a Patriarca di Venezia che ha tutto il sapore di una “promozione” e che, più semplicemente dice tutta la stima e la considerazione che di lui ha Paolo VI. Che gliele riconferma pubblicamente nel 1972, durante la sua visita in Laguna, precisamente nel momento in cui si toglie la stola pontificia e la mette sulle spalle del Patriarca Luciani, che a distanza di qualche anno commenterà poi: “M’ha fatto diventare tutto rosso davanti a 20.000 persone”. È un gesto che qualcuno interpreta come profetico, se non proprio un’indicazione precisa di successione e come tale verrà rispolverato il 26 agosto con l’avverarsi della “profezia” di Papa Montini. Gli anni veneziani, comunque, non sono una passeggiata, contrassegnati come sono per Luciani da incomprensioni, attriti, tensioni... sfociate anche in conseguenza degli abusi di quanti rischiavano di far diventare il Concilio - sono parole sue - «un’arma per disobbedire, un pretesto per legittimare tutte le “stramberie” che passano per la testa». A marzo 1973 arriva la porpora cardinalizia, che non muta di una virgola lo stile e la semplicità di Luciani, convinto come non mai che “alcuni vescovi somigliano ad aquile, che planano con documenti magistrali ad alto livello; io appartengo alla categoria dei poveri scriccioli che nell’ultimo ramo dell’albero ecclesiale squittiscono”. L’intensa stagione episcopale lo porta spesso a Roma e lo fa partecipe di molte Commissioni, specialmente in ambito catechetico, in cui brilla la sua lungimiranza, la sua apertura, il suo spessore culturale appena celato dal suo stile sempre umile. Sono, questi, anche gli anni del terrorismo, delle Brigate Rosse, del lento declino di Paolo VI, che muore il 6 agosto 1978. Luciani parte da Venezia il giorno 10, per arrivare in tempo ai funerali e per partecipare poi al conclave che dovrà eleggerne il successore. Ha la certezza di essere “fuori pericolo”, anzi ritiene che sia “già gravissima responsabilità dare il voto in questa circostanza”. Entrato in conclave il giorno 25, i suoi migliori auspici per un esito che non lo coinvolga naufragano appena 26 ore dopo quando, in tempi rapidissimi e con un consenso unanime “che ha il sapore dell’acclamazione” (come si esprime “a caldo” il cardinal Suenens), viene eletto Papa. Davvero non si può dire che, in questo caso almeno, i cardinali elettori si siano “pronunciati sul filo di strategie politiche ma soltanto seguendo un criterio ecclesiale che è dirimente per la qualità di un vescovo: il suo essere pastore”. Polverizzati tutti i pronostici, mentre si è in attesa di dare l’annuncio al mondo con la classica “fumata bianca” nel rispetto del rigido cerimoniale previsto per l’occasione, c’è chi ha il tempo, come il cardinal Pironio, di studiarne le reazioni: “Ero proprio di fronte a lui, e lo guardavo…. eravamo tutti i cardinali in attesa del suo sì. Io l’ho visto con una serenità profonda, che proveniva da una interiorità che non si improvvisa”.

(2 - continua sul prossimo numero)